-


Attenzione: NON faccio scambio link e banner - grazie! Vendo tavole originali dei miei lavori bonelliani e realizzo disegni su commissione (per info p.mandanici@gmail.com)



giovedì 30 aprile 2015

Conversazione con lo scrittore Sergio Donato


L'idea era fare un'intervista a Sergio Donato simile a quelle che ho già fatto qui sul blog a disegnatori e sceneggiatori; poi (come spiego qui) è venuta fuori una specie di "conversazione" che spero sia interessante per i più. Avverto che il testo è un po' lungo, all'inizio volevo dividerlo in due ma  poi mi sono resa conto che avrei spezzato il ritmo.

Chi è Sergio Donato?
Nato nel 1975. Pugliese in culla, emiliano con la barba. La narrativa breve lo ha reso protagonista in numerose riviste e pubblicazioni, tra le quali "Robot", "Wmi", "Fantascienza.com", "Horror Magazine" e "Thriller Magazine" per Delos Books. "Urania" e "Classici del Giallo" per Mondadori. Ha pubblicato la raccolta "È qui che dobbiamo stare" per i tipi di WePub, “Scorreva rabbia” con Delos Digital ed è stato autore per Nero Press Edizioni ed ESEscifi. Collabora con il blog cararesistente.wordpress.com, per il quale ha osservato i sette vizi capitali.
Ha vinto il Premio Nero Short, il Premio Nero Lab 2011, il Premio Algernon Blackwood 2011 ed è stato finalista dell'edizione 2012; finalista anche al premio Stella Doppia 2012. Ha vinto l'Esecranda 2014.
È giurato del MyFest Gran Giallo città di Cattolica dal 2013.

Patrizia: Ciao Sergio, vorrei che questa non risultasse la classica intervista “io domando tu rispondi”, e soprattutto vorrei che parlassimo non solo del tuo lavoro di scrittore, ma anche di te come persona comunicante e curiosa (e infatti ci incrociamo spesso sui vari social della rete).
Ti parlerò un po’ liberamente, senza pensare troppo a una scaletta, ci passeremo e ripasseremo questo documento, un work in progress.
Sono andata a cercare le prime mail che ci siamo scambiati per vedere che anno era, e noto che ci conosciamo e leggiamo reciprocamente da ben 4 anni: era l’agosto del 2011 e mi chiedevi/non chiedevi di farti un disegno per la tua raccolta di racconti “È qui che dobbiamo stare”.
La mail mi aveva colpito, e poi mi erano piaciuti anche i tuoi racconti, lo stile ma soprattutto l’attenzione ai dettagli, a certi dettagli del comportamento umano, sia psicologico che fisico. 
Poi alla fine avevi scelto un disegno che avevo già realizzato per il mio blog dei Segni (adesso fermo), e la cosa interessante per me è sapere come avevi scoperto il mio blog, in generale poi qual è il tuo interesse per le arti visive, per l'illustrazione, il fumetto.

Sergio: A volte mi capita di provare una specie di comunione con le persone lontane che sento affini per alcune cose della vita come l’arte, le passioni, o semplicemente l’indole, e che si sviluppa sotto forma di una strana telepatia. L’altro giorno, molto prima di questa conversazione, stavo appunto pensando a come sono arrivato a sapere del tuo blog, tanti anni fa, e non sono riuscito a darmi una risposta: in puro stile internet. Internet non lascia memorie, lascia tracce da cui a volte si creano sentieri per le memorie future.
Non riesco proprio a ritrovare il sentiero che mi ha condotto al tuo blog, però non posso dimenticare il disegno che mi prestasti per la copertina dell’ebook fatto in casa che poi interessò l’editore WePub. Il disegno lo trovi qui e, Patrizia, ogni volta che lo guardo a me fa lo stesso effetto di un tempo. È stupendo. È pieno di così tante cose in così pochi tratti. C’è una storia, dentro. Qualunque essa sia, in quello schizzo c’è una storia. Riesci a vederla?
È uno dei motivi per cui mi piacciono la scrittura e il disegno: sono creatori di universi. Devi vederli come la teoria dell’inflazione dell’universo: un punto da cui tutto esplode e prende vita. La scrittura e il disegno hanno un punto di partenza comune, una particella da cui tutto ha origine: l’osservazione.
Un altro esempio della potenza dell’osservazione è in queste tavole di Superman contro il Parassita datate 1978 o giù di lì. Fanno parte di un albo che non ha più la copertina (che non l’ha mai avuta, se ricordo bene, perché nostro padre trovò l’albo così, in fabbrica) e contengono il punto d’inizio di un bambino. Superman dentro l’asfalto e poi Superman che scava l’asfalto spinto da un micidiale uppercut del Parassita fecero capire al bambino che l’asfalto su cui di solito camminava e che era duro, durissimo, poteva essere frantumato, scavato e riempito di storie. Era possibile andare oltre l’osservazione oggettiva di un fatto, di una cosa data per certa. Una sorta di ragionamento fuori dagli schemi ma che per un bambino, in quel momento, era solo una bella storia raccontata dai fumetti.
Le arti visive, e tutte le percezioni umane in genere, hanno un grande attrattiva su di me. Se non vivi non scrivi, dico sempre. Essendo un empatico e non un letterato, ho bisogno della mia vita o di quella degli altri per poter tradurre l’osservazione in scrittura, ma poiché non riesco a essere un nozionista, sono costretto nel ruolo di “assorbitore”. Assorbo le informazioni, le osservazioni, le arti e provo a rimodellarle in storie.

Patrizia: Un sacco di spunti nelle cose che hai detto.
“C’è una storia, dentro. Qualunque essa sia, in quello schizzo c’è una storia. Riesci a vederla?”
Be’, adesso la vedo grazie a te, vedo la tua storia, le tue storie. Anche io ho questa propensione a vedere delle storie dentro le illustrazioni, spesso le intravedo dopo che le ho fatte di getto, e mi piace immaginare che chi osservi quei disegni ne veda altre ancora. Come dici tu: “creatori di universi” - è questo che ci unisce, il piacere di vedere sbocciare e crescere tra i segni e le parole interi mondi, intere possibilità.
L’episodio che racconti a proposito del fumetto di Superman mi fa tornare in mente il tuo racconto di fantascienza
Non gli occhi di suo padre che mi aveva davvero affascinato: riuscivo a visualizzare le scene del tuo racconto quasi come fosse un fumetto, hai una certa capacità visionaria, una bella fantasia sia per la trama che per i luoghi in cui fai muovere i tuoi personaggi. Sarei curiosa di vederti alla prova con una storia di fantascienza più lunga; anche se ti sai muovere bene tra vari generi forse la fantascienza è quella che mi intriga di più - oltre ai racconti thriller con Tallone da Killer naturalmente (a proposito ci vuoi raccontare un po’ delle storie che hai scritto con questo protagonista?).

Sergio: Non possiedo la distanza lunga per natura. Poiché le mie storie nascono da un’osservazione, molto spesso sono scatti brevi, ma anche scatti fotografici. È come se dovessi tenere la maggior parte dei dettagli tutti in testa e tutti nello stesso tempo, e con un romanzo è molto più difficile, e sento di dover andare contro la mia natura che invece mi sussurra: sta qui, stai raccolto, non ti allargare. La fantascienza è stata la mamma della mia fantasia e avrà sempre un posto speciale tra i miei affetti, per questo al momento sto imbastendo un romanzo thriller ma avrei una voglia matta di scriverne uno di literary scifi.
Marion Petit” (pubblicato nell’antologia Esescifi 2014), che è uno spin-off di “Non gli occhi di suo padre” (pubblicato su Urania Collezione n.115), ha appunto lo stesso taglio sentimentale del racconto di origine. La fantascienza (la scrittura fantastica in genere) è una quinta di teatro, è uno sfondo davanti al quale si può rappresentare qualsiasi tipo di storia. Per esempio, è molto più difficile piegare un giallo al sentimento. La fantascienza invece è plastilina, è malleabile, è un organismo artistico che si adatta benissimo alle atmosfere di altri pianeti narrativi.
Il romanzo thriller che sto preparando pesca invece dall’universo di Tallone da Killer, finito sotto forma di racconti in due Gialli Mondadori (n.1322, n.1333). Il personaggio fu un altro botto nato dal nome che mi scoppiò in mente una mattina, così, dal nulla (anche se spesso i suggerimenti mi arrivano dai sogni che a loro volta si nutrono di osservazioni), e venne su già quasi completo e aveva più o meno questa faccia qui. Sono un po’ stanco dei gialli con i commissari e i marescialli, e anche delle indagini classiche. Avevo bisogno di personaggi cattivi buoni, cioè di criminali meno criminali degli altri che aiutavano quelli ancora un po’ meno criminali o semplicemente persone disadattate finite nei guai. Avevo anche voglia di intrattenere il più possibile il lettore, così ho dato un bel pestone sul pedale della scrittura scenografica e ho provato a spingere la macchina narrativa verso la costruzione tridimensionale della storia, così come avevo già fatto con “Non gli occhi di suo padre”. Non è solo show don’t tell. Credo che la buona riuscita di questo tipo di scrittura stia anche nel how to show the show don’t tell, cioè non tanto nel cosa far vedere, ma nel come un’azione viene raccontata. 
  
Patrizia: Hai ragione, nei racconti sei molto bravo, riformulo il mio desiderio: una futura raccolta di tuoi racconti sci-fi (d’altronde mi dici che c’è un filo che lega “Non gli occhi di suo padre” e “Marion Petit”).
Noto quanto il disegno che hai realizzato di Tallone da Killer assomigli a quello che avevo in mente la prima volta che ho letto un racconto con lui protagonista! 
Ok, torno a “Marion Petit”, un breve racconto contenuto in Esescifi 2014 che si trova in vendita qui su Lulu (occhio che Lulu non so perché non indica mai il prezzo comprensivo di tasse: non è 2,99 € ma 3,11): sia qui che negli altri tuoi racconti di fantascienza sono presenti spiegazioni scientifiche soprattutto relative alla fisica dei quanti - a livello divulgativo ne so qualcosa ma ammetto che ogni tanto mi ritrovo un po’ smarrita. In ogni caso è molto bello come usi queste nozioni per dare corpo a una trama che parla di sentimenti, di relazioni tra le persone, di emozioni. 
Siamo immersi in un mondo fisico, noi stessi fatti di atomi e materia che obbedisce a leggi fisiche: a me pare una cosa meravigliosa di per sé pensare a come siamo capitati in questo angolo di Universo e alle interazioni che ci sono tra noi esseri umani grazie a queste leggi. 
Sto divagando: la domanda è come ti informi sulle questioni scientifiche, cosa ti piace leggere, quanta importanza credi debba avere la cultura scientifica per un autore che voglia scrivere di fantascienza - al di là del fatto che uno scrittore debba poi piegare queste nozioni per le sue esigenze artistiche, naturalmente.

Sergio: Qualcuno famoso che ora non ricordo disse una cosa circa il tempo della documentazione di un narratore (tengo a precisare “narratore” perché, quando dipende da me, non voglio più appiccicarmi addosso l’appellativo di “scrittore”. Ha qualcosa di nobile che non possiedo), insomma disse più o meno che la scrittura finale è una pietruzza che viene fuori da una montagna di informazioni.
Non avendo una mente matematica, ma essendo affascinato come un bambino dalla scienza e dall’astrofisica, devo fare di necessità virtù. Quando scrivo fantascienza e mi servono basi scientifiche, uso qualsiasi mezzo per assorbire conoscenza, compresi i saggi e gli incroci di dati, estratti e testi divulgativi. Sono sicuro di commettere molti errori scientifici; anche per questo mi capita di accompagnare il racconto verso tematiche sentimentali o di vita: faccio in modo che la sospensione dell’incredulità trovi almeno un alibi nel tono del testo.
Noi siamo fatti di emozioni, sentimenti e scienza. L’universo è gelido e noi siamo caldi. La scienza è un’algida descrittrice della vita, la quale però è ribollente di stati d’animo e di organismi in continua mutazione. Questa antinomia tra scienza “fredda” e vita “calda” ha un fascino tutto suo.
Mi piace ancora una volta ripetere le parole della scrittrice Enrica Zunic’. Disse: “Anni fa mi chiesi come mai in Amnesty International trovavo così tanti astrofisici. Mi risposi che evidentemente la consapevolezza acuta dell'essere su una minuscola palla appena velata d'atmosfera come una pesca lo è di peluria e rotolante nello spazio faceva apparire molto insensata e ridicola oltre che ogni definizione di Sud o Nord anche ogni discriminazione.”
Bellissima. Hai mai provato a vedere i video della Terra di notte che scivola via sotto la Stazione Spaziale Internazionale? Non ti arriva quel senso di “ma che cavolo stiamo facendo a questa nostra casa? E a noi stessi?”

Patrizia: Ah sì, è emozionante vedere la Terra dallo spazio, e pensarla come una pallina persa nell’Universo rende il tutto più incredibile. Poi facendo quegli zoom da filmone americano arriviamo a vedere i particolari delle vite degli umani che “infestano” il pianeta in ogni angolo e la poesia un po’ scompare, confesso.
A parte le situazioni terribili in cui vivono milioni di persone - la stragrande maggioranza non nel nostro continente - c’è da dire che quello che noto e mi deprime sempre più col passare del tempo è il cinismo, la cattiveria, l’egoismo della società in cui vivo, di cui il riflesso in rete non è che amplificato, non distorto: le cose che sento per strada, nei mercati rionali, nelle file alla posta non sono tanto dissimili dai commenti più atroci che l’anonimato sul web sollecita (molto spesso però non c’è anonimato, non c’è timore, non c’è vergogna).
Sposto l’attenzione verso l’argomento dei social network perché tu sei presente in diversi luoghi sul web, anche se con una certa diffidenza, e perché hai anche aderito ad un esperimento particolare a un certo punto: ce ne puoi parlare?

Sergio: Recentemente ho capito che l’umanità è sempre stata così, e la “tecnologia sociale” di questo decennio non l’ha cambiata poi tanto; ha fatto in modo di farci ascoltare più voci di quelle che trent’anni fa sarebbero state solo quelle del mercato e della fila alla posta. In un picco di pessimismo, dico che da questo punto di vista Internet mi ha tolto un po’ di speranza. Se vivi fisicamente in un posto con gente brutta, un domani speri di poterne abitare uno con gente buona. Internet invece disvela l’umanità per quella che è, o che è ancora. Che i social network possano contribuire a modificare le abitudini degli esseri umani non c’è dubbio, ma quando ragiono su una massa d’individui, una comunità, una nazione, un continente, una specie, devo considerare che i cambiamenti saranno tanto più lenti all’aumentare del numero delle persone soggette alla modifica. Se vuoi, possiamo applicare a una massa sociale d’individui il secondo principio della dinamica che, per farla breve, dice così: a parità di forza, un corpo si muove tanto lentamente per quanto la sua massa è più grande. A proposito di masse, di rabbie, di mancanza di ragionamenti logici e di comportamenti umani, è un po’ quello che accade davanti a un semaforo che da rosso scatta a verde in una lunga fila di macchine. L’ultimo guidatore della fila dirà: «Ma è verde! Perché non vanno?» In realtà, quelli davanti a lui si stanno muovendo, ma tra il muoversi della prima macchina e quello dell’ultima c’è la somma dei tempi di reazione di tutti gli altri guidatori, i quali devono verifcare e attendere che la macchina che li precede si sia effettivamente mossa. Ecco che tra il verde e, diciamo, la decima macchina in coda possono trascorrere anche dieci secondi prima che quest’ultima possa accelerare.
Qui su Bookrepublic, qui su Amazon.
I social spesso mi atterriscono perché diventano un insieme di voci ed emozioni contrastanti in un unico spazio-tempo. È straniante. Gli esseri umani sono organismi analogici e non sono fatti per assorbire così a lungo stimoli digitali accesi/spenti, anche se quegli stimoli sono creati dagli uomini e hanno codici umani riconoscibili, cioè parole, immagini e suoni.
Ogni tanto quindi devo prendermi una pausa. La più lunga è stata di 99 giorni. Ho aderito a questa campagna qui. Che poi, a sua volta, non è che marketing sotto mentite spoglie. Agli inizi credevo che internet fosse un luogo. Invece Internet è soldi. Lo vedi anche dalle ricerche. Si ha quasi sempre la sensazione di stare in un negozio e non tra le pagine di un’enciclopedia della civiltà.
Oggi associo quei 99 giorni a un senso di leggerezza, però anche di consistenza. Quando decidi di eliminare un’attività dal tuo quotidiano, inevitabilmente avrai un avanzo di tempo. Io, per esempio, in una parte di quei 99 giorni ho stabilito che la migliore esecuzione del Concerto n.1 per Violino in sol minore di Max Bruch appartiene a Vadim Gluzman: calda, sostenuta, precisa, appassionata. Bellissima. Non che Facebook non mi abbia arricchito o fatto scoprire persone o cose meravigliose, ma il lavoro di setaccio in mezzo al fango è durissimo e dopo un po’ fanno male le ginocchia, a stare piegato sui ciottoli.
Tuttavia, ammetto che le indagini etologiche e sociologiche mi sono sempre piaciute. Tempo fa iniziai a studiare etologia umana, ma dovetti abbandonare perché i miei amici smettevano letteralmente di muoversi dopo averlo saputo. Credevano li analizzassi. In parte era così, e comunque preferivo degli amici mobili a dei soprammobili. (sorrido)

Patrizia: Ho seguito il link al Concerto di Max Bruch (che non so chi sia) e ho scoperto di avere ancora accesso al mio vecchio account (gratis) di Spotify. Mi è piaciuto ascoltare un po’ di musica a cui non sono abituata. Non sono granché come ascoltatrice, confesso.
Dopo aver parlato di tante cose diverse io tornerei alla letteratura: quali sono gli scrittori che ami di più? E quelli con cui sei cresciuto?

Sergio: La mia sarà una risposta semplice e abbastanza comune. La lettura arriva dai grandi, come per qualsiasi attività ricorsiva dei genitori che trova un nuovo ciclo di riproduzione nei figli. A volte possono esserci attività che, seppure ripetute, vengono stoppate dai figli e rigettate, ma non mi è mai capitato di sentire qualcuno che abbia detto: «Io non leggo perché quando ero piccolo mia madre leggeva così tanto che mi ha fatto odiare i libri.»
Quindi leggo perché mio padre leggeva tanto e leggeva solo fantascienza e gialli. Per la stessa proprietà transitiva dovrei leggere solo questi generi, ma poiché per fortuna non siamo solo la copia dei nostri genitori, quei generi mi hanno semplicemente spalancato una porta a doppio battente, e per rispondere alla tua domanda dovrei redigere un elenco di autori lunghissimo e strano per accostamenti. Te ne dico alcuni, buttati così: McEwan, Carver, Wallace, Tevis, Franzen, Davide Longo, Nabokov, Cheever, Simenon, Marai, Turgenev, Simmons, Lansdale, Lem, Sturgeon.
Sono cresciuto (nel senso del primo processo di lievitazione del pensiero letterario, da piccolo) con la trilogia de “I sovrani delle stelle” di Edmond Hamilton. Space-opera purissima. Poi sono passato ai romanzi di Skylark di E. E. Doc Smith e dopo ho incontrato il mio amico Asimov. Mi sono innamorato del misconosciuto “Galassia maledetta” del francese Francis Carsac, e ho messo su famiglia con quel genio di Stanislaw Lem, quindi l’ho tradito andando a libri con tutti gli altri, pescando a destra e a manca, senza badare a nazionalità o generi. Un’orgia che continua tuttora e che andrà avanti finché non perderò la vista, e a quel punto potrei sempre passare agli audiolibri, perché quando mi capita di non leggere per lunghi periodi di tempo mi prende come un senso di colpa; verso chi e perché non è dato sapere.

Patrizia: Vero che chi cresce tra libri è facilitato a continuare questa abitudine, e magari a trasformarla in passione (io mi chiedo ancora da dove è venuta la mia passione per i fumetti e i libri, non avendo avuto la tua fortuna: e meno male che comunque sono stata assecondata, e poi anche aiutata).
Condivido anche la passione per gli audiolibri, spero che questo mezzo “per leggere diversamente” venga sempre più diffuso.
Credo che potremmo avviarci verso la conclusione  di questa interessante conversazione, ma non prima di averti domandato qualcosa sulle tue abitudini di scrittura, le tue modalità. 
E aggiungo anche: avresti voluto che ti facessi qualche altra domanda, o che toccassi altri argomenti?

Sergio: Sono un narratore disordinato. Quando leggo di scrittori che si danno orari e modi, e rituali, io lo capisco ma mi prende un brivido. A meno che non siano tempi dettati da altri impegni, pianificare un orario quotidiano per la scrittura mi toglierebbe qualsiasi guizzo. Se mi dici di stare in un posto perché sono costretto a starci io farò di tutto per andare via da lì, e vale anche per lo scrivere. Sono già troppo preso dall’idea (vana) di riuscire a mettere una parola dietro l’altra in un modo così prossimo alla perfezione che non potrei sopportare altri vincoli. Però quando scrivo devo stare da solo (e per fortuna vivo in un posto in cui, se si sta attenti, ci si accorge del modificarsi della fauna), o al massimo posso accettare la compagnia di una musica senza adrenalina: classica o un’indie leggera, sfumata. Niente martelli rock e niente italiana, perché le parole della canzone inciamperebbero in quello che sto scrivendo.
Rileggo tanto mentre digito. Sono lento. Quando finisco un periodo devo lasciarmelo alle spalle con la falsa certezza di non tornare più indietro. Revisiono molto poco, ma se un editor mi dice “qui è da rifare, o voglio un finale diverso, o perché non facciamo così” io ascolto, contratto se è possibile, e poi mi do da fare.
E poi disegno. Così, per serendipità. Uso il tratto per liberare la mente e fare spazio alle nuove parole da digitare.
Altre domande, dici? Credevo di riceverne di più sui fumetti, ma mi avresti trovato impreparato, perché li metto nel calderone delle arti da cui prendo ispirazione. Però se dovessi dire un titolo, non so: “The Complete Essex County” di Jeff Lemire. Ha una profondità incredibile.

Patrizia: Pensa che non ho letto niente di Jeff Lemire e adesso naturalmente dovrò recuperare “The Complete Essex County”  (che ho scoperto essere uscito anche in italiano, e si trova pure in ebook).
Ti ringrazio tanto per la tua disponibilità e per il divertimento che mi hai procurato con questa modalità di “conversazione”; è qualcosa che mi piacerebbe provare con altre persone, in futuro, autori con cui vorrei scambiare delle chiacchiere, ma non è detto che sarebbero disposti a provare qualcosa di così particolare. Vedremo.

Sergio: Grazie a te, Patrizia, soprattutto per lo spazio e il tempo che hai sentito di regalarmi.


5 commenti:

  1. Il Parassita di Curt Swan era cool - non riesco a scrivere figo alla mia età, ma facevo fatica a dirlo anche negli anni in cui la Edtrice Cenisio pubblicava Supes - ma mai quanto quello del Jon Bogdanove degli anni novanta ( da noi nel quindicinale della Play Press ). Negli anni settanta ero in fissa con The Absorbing Man di Jack Kirby, creato da Loki x succhiare le energie del fratellastro Thor : aveva il look che avrei voluto avere una volta hombre ovvero calvo e con enormi orecchie a sventola e tratti sgraziati e testa a pera, ma il suo codename era stato tradotto in un letterale Uomo Assorbente e questo proprio non era un plus, sebbene parecchi anni dopo in un film ho sentito un rookie dire al suo sergente istruttore che le nuove divise facevano sembrare i pulotti dei tampax e sentirsi rispondere che tutto sommato si trattava di merce che arrivava in posti niente male. Sto divagando, sorry, come mi capita solo quando parlo o scrivo o penso o sogno o faccio la lista della spesa. Immagino che un narratore sia promosso a scrittore quando è capace di interessare il lettore alla storia di un tizio calvo e brutto come la gente in rete o nei mercati che sogna di fare la lista della spesa delle cose che sarebbe il caso di fare o non fare considerato che siamo solo piccoli esseri viventi che si agitano su di una pallina nel nulla del tutto che ci avvolge.

    Occhio a Lemire: non ha un tratto mainstream. So che hai comperato e forse letto Molecole Instabili di Guy Davis: Davis è Claudio Villa o Carlo Ambrosini paragonato a Lemire.
    Siamo a ovest di Matt Kindt o Riley Rossmo.
    Io sono agnostico, ma l'altra notte ho sognato che avevo incidentalmente dato fuoco ad un magazzino ripieno di originali di Alex Toth e Dio, perchè espiassi, mi aveva trasformato nella idea di Lemire di Crusher Creel a.k.a. l'Uomo Assorbente.
    Nel sogno entravo nella cameretta di Crepascolino mentre stava intagliando i mobili con un butterfly che aveva barattato alla materna con il suo costume da Catman dei Kiss, temendo si spaventasse ed il mio cucciolo ha sorriso e mi ha chiesto se volevo giocare con lui a " Michelangelo ed il marmo". Non aveva notato nessuna differenza. Brr.

    RispondiElimina
  2. Su "assorbente" mi ci sono soffermato pure io nel mezzo secondo che mi è servito per decidere di coniare "assorbitore", perché sapevo che la parola più intima sarebbe diventata l'eco di tutta la conversazione: «To', il narratore assorbente! Sai che storie avrà da raccontare?»
    È così che nascono le parole nuove, per necessità: che comprende anche l'imbarazzo, anch'esso rotolante nello spazio e invisibile dallo spazio.

    RispondiElimina
  3. Le parole nuove nascono dalla necessità di un narratore in viaggio verso lo scrittore. Non altrove. Io lavoro con persone che scrivono traguardare, ma non sono Dante che cerca una alternativa a sogguardare, o randomico, ma non pensano a Random il Barbaro che mena colpi a casaccio, o chiedono di non entropizzare la discussione, ma non sono Lex Luthor ed il Parassita che sequestrano un team di tricologi accusandoli di esser la causa delle loro cocce lustre. So goes life.

    RispondiElimina
  4. Tanta roba, cari Sergio e Patrizia. Avete parlato di tutto. Sembra vi conosciate da anni. @ Sergio: Bellissima la metafora del "perché non vanno?" al semaforo. Ho sempre cercato di spiegarlo a qualcun altro. Mai sono riuscito a farlo così bene come l'hai fatto tu in due righe ;)

    RispondiElimina
  5. :) Grazie, Luigi. Be', sì, io e Patrizia ci sfioriamo da anni in internet. Credo abbiamo lo stesso fascino per la mitezza e i ragionamenti dietro i ragionamenti. Poi Patrizia è proprio una brava persona, e quando una è così come si fa a non andarci d'accordo?

    RispondiElimina

Attraverso i commenti io vengo a sapere solo il nome che è stato indicato dal commentatore, nient’altro. Se qualcuno vuole che io tolga i propri commenti può scrivere a p.mandanici@gmail.com e provvederò alla loro eliminazione.