-


Attenzione: NON faccio scambio link e banner - grazie! Vendo tavole originali dei miei lavori bonelliani e realizzo disegni su commissione (per info p.mandanici@gmail.com)



mercoledì 29 agosto 2012

Giorni densi di fine estate

Ho avuto un po' da fare in questa ultima parte di agosto, e direi che ho concluso il mio "Diario di viaggio" iniziato più di un mese fa: oltre a vari imprevisti che mi hanno rallentato nel lavoro mi assenterò per un paio di giorni da Milano, quindi poi ai primi di settembre riprenderò a pieno ritmo a disegnare.
Sabato scorso ho portato la mia cagnolina Milou al pronto soccorso spaventata dalle sue urine piene di sangue - era la prima volta che capitava. Si è iniziata subito una terapia con antibiotici e antinfiammatori in attesa di analisi più approfondite (poi il mio veterinario mi ha detto che forse era meglio aspettare, che l'antibiotico era troppo forte...insomma, le solite discrepanze tra dottori che certamente io non posso capire).
Fino a ieri Milou ha continuato ad avere più o meno sangue nelle urine, ma le analisi non hanno rilevato presenza massiccia di batteri; da dire che Milou ha delle patologie che favoriscono infezioni all'uretra, anche se fino ad adesso non ne ha avute.
Comunque a parte questo la cagnolina sta benissimo, anzi, pare più vispa del solito perché fa meno caldo. Oggi per sicurezza le ho fatto fare un'ecografia alla vescica, non ha calcoli (e l'ecografista ha preso in simpatia Milou e non m'ha fatto pagare nulla).
Sia per prendere le urine sia per fare l'ecografia sono stata un po' in ansia; per la prima cosa ho dovuto seguire come un'ombra Milou munita di guanto e contenitore sterile per cogliere l'attimo della pipì (e sperare di centrarla); per la seconda ho dovuto tenerla a digiuno, e poi farla arrivare dal veterinario con la vescica piena - veterinario che ha lo studio non vicino alla strada dove avevo parcheggiato l'auto; ho dovuto prendere in braccio Milou che si opponeva, e una prima volta sono anche caduta (non in malo modo), e poi mi sono fatta un 150 metri con questi 13 chili di cane spaventato in braccio.
Adesso spero che nei prossimi giorni tutto torni a posto, e che io mi riprenda dalla stanchezza di questo periodo.
Avrei diversi link da segnalare, ma proprio non ce la faccio, rimando tutto ai primi di settembre.
Intanto se vi va andate a leggere un post scritto da Laura Scarpa sul futuro del diritto d'autore - o meglio, commentate la notizia di cui si parla; io ho poche idee e confuse, ma certamente sono cose su cui riflettere.
Buon fine agosto a tutti (e un saluto particolare ad Elisa e Andrea, lettori appassionati di fumetti e persone davvero simpatiche che sono contenta di aver potuto incontrare, anche se per poco).

giovedì 23 agosto 2012

Diario di viaggio... letterario -14

Il viaggio inizia da qui. Tutti gli altri post sono leggibili sotto l'etichetta "Diario"

22/8/2012


Grondo sudore in maniera immonda. Ho un ventilatore nello studio e  uno in camera, ma quando mi sposto o devo fare delle cose altrove mi sembra di ardere - che brutta sensazione.
L'estate comunque si avvia verso la sua fase finale, un'estate particolarmente triste sia perché sono venuti a mancare diversi artisti - l'ultimo è il grande Sergio Toppi - sia perché in giro vedo intensificarsi gli effetti della crisi; per non parlare degli incendi sempre più numerosi e dei cambiamenti climatici che fanno prevedere tempi difficili per la Terra e gli esseri umani che ci vivono (non si stanno sciogliendo solo le calotte polari, basta vedere lo stato dei ghiacciai sulle Alpi - e i conseguenti aumentati incidenti mortali anche di guide esperte).
Non è che mi senta più catastrofista del solito: da tempo osservo l'andazzo delle cose umane, e cerco di informarmi nella maniera più scientifica possibile. Oltre ai dati nudi e crudi esiste sempre la variabile umana, che ogni tanto presenta delle sorprese (in senso positivo); tuttavia dato che dalla storia impariamo poco e che man mano che passano i secoli sarà sempre più difficile tornare indietro per certe cose, anche se avessimo un improvviso rinsavimento generale non è detto che avremo la possibilità di invertire la china.
Siamo usciti indenni dalla guerra fredda (che fredda non lo era tanto), e io che l'ho vissuta (anche se da giovane un po' ingenua) so quanto ci sembrava vicina la possibilità di una catastrofe nucleare; col senno di poi sembra impossibile che per qualche divergenza di opinione o addirittura per qualche errore si sarebbe potuto scatenare un conflitto con missili nucleari che sarebbero volati di qua e di là: però quando vivi dentro un'epoca e un'atmosfera certe cose non le puoi immaginare.
Nella prima metà degli anni ottanta sembrava impossibile che l'URSS sarebbe finita meno di un decennio dopo; io ero convinta che avrei vissuto tutta la vita o quasi osservando da lontano la cortina di ferro. Forse ho avuto sentore prima della gente comune che tutto questo sarebbe finito presto: mio padre era un militare (un militare non militarista, come si è sempre definito, il cui destino è stato condizionato - come per tanti siciliani - dalla necessità), lavorava al settore delle comunicazioni; ricordo un periodo nella seconda metà anni ottanta in cui ci furono delle tensioni tra i due blocchi non mi ricordo per quale avvenimento internazionale: si temeva una qualche forma di intervento sovietico.
Mio padre mi confidò che non sarebbe successo nulla: le navi sovietiche erano quasi bloccate nei loro porti a causa della mancanza di carburante; un bel campanello di allarme per "l'impero del male".
Ho divagato, ma quello che intendevo dire è che non sempre le cose vanno come sembra debbano andare; e certo spesso non ci vanno perché l'essere umano diventa ragionevole, ma perché costretto da contingenze particolari ed improvvise.
L'immagine della morte però mi ha accompagnato nelle mie riflessioni degli ultimi mesi, per ragioni diverse; non ne voglio parlare qui, adesso, in maniera approfondita, però è strano che gli stessi temi li abbia ritrovati in posti diversi. E poi voglio almeno consigliare la lettura (non facile - nel senso di emotivamente impegnativa) di un libro che ho avuto il coraggio di terminare l'altro ieri dopo un lungo centellinamento (nonostante la brevità e la bellezza del libro): "La strada" di Cormac McCarthy.
Riporto una mia specie di commento scritto abbastanza in fretta su aNobii:
"Ho iniziato questo libro qualche mese fa, ne leggevo poche pagine alla volta come se stessi maneggiando qualcosa di prezioso; eppure volendo il libro si potrebbe leggere in poco tempo, la prosa è asciutta e la storia é semplice - e una volta iniziato a leggere si é dentro senza scampo.
Il libro é un impasto miracolosamente riuscito di simbolico e realistico: non sappiamo di che genere è la catastrofe che ha trasformato la Terra in un deserto grigio e quasi disabitato, non sappiamo quanto tempo é passato da quando é successo e non sappiamo quasi nulla dei due protagonisti, un papà e il figlio: non ha importanza.
Il tono della prosa di McCarthy rende questo libro totalmente diverso dai tanti libri (e film) post-catastrofici che abbiamo letto negli ultimi decenni; e in definitiva non é un libro sulle apocalissi prossime venture: é un libro che parla della vita e della morte, di quello che siamo in quanto esseri umani, del bene e del male.
Il bambino non è un semplice bambino, é la nostra coscienza, é il nostro futuro, la nostra speranza di non lasciarci andare al male, alla non-umanità; eppure nonostante quello che rappresenta all'interno del libro non sembra meno reale di qualsiasi altro bambino, e questo grazie all'estrema cura con cui lo scrittore ha saputo caratterizzare i personaggi.
Le parole sono usate con parsimonia ed attenzione, e costruiscono un mondo vivo - per quanto poco di vivo ci sia - cupo e dolente. Ci inoltriamo con i protagonisti in lande grigie e desolate, aggrappati ai pochi segni di umanità che incontriamo, non desistiamo, non lo facciamo anche se non esiste un perché.
Da anni non leggevo un libro così bello, così triste , così denso e semplice al tempo stesso: la semplicità dei grandi temi che tormentano da sempre l'essere umano.
Lo confesso: ho pianto come una bambina alla fine, ho pianto con i protagonisti, ho pianto per quello che sono, per quello che mi attende, per quello che so e che non so."
L'uomo protagonista del libro sta camminando attraverso un mondo morto, non c'è speranza, non per lui o quelli come lui; ma è convinto di non poter privare il bambino di una possibile flebile fiammella di futuro, fosse pure un'illusione.
Mi sembra che ci sarebbe altro da dire su questo libro, ma non me ne sento capace, non ancora.
Non ritengo sia un libro spirituale, non mi sembra (poi ognuno ci può vedere quello che vuole, ovviamente); quello che ci ho trovato di bello è che parla della vita, anche quando il mondo che descrive è un mondo di morte.
Di morte parla anche Roberto Recchioni sul  suo blog, ne ha parlato poco prima che si diffondesse la notizia del suicidio di Tony Scott - coincidenza incredibile. Io con Recchioni non sono d'accordo quasi mai, ma leggendo una prima volta quel post mi sarei detta d'accordo del tutto, d'istinto; poi ho riflettuto su quello che dice un commentatore, che della morte in ogni caso non si può dire nulla, e mi sono detta che in fondo è così che la penso anche io, se voglio essere onesta con me stessa: come scriveva Virginia Woolf "la morte è l'unica esperienza che non descriverò".
Quello che mi spaventa veramente è la vecchiaia, la malattia e il dolore; sto pensando al povero Richard Thompson, l'autore della striscia "Cul de Sac", che è costretto a smettere di disegnare perché affetto da morbo di Parkinson. Ci sono delle ricerche promettenti volte a trovare le cause e di conseguenza la cura per questa malattia che colpisce milioni di persone nel mondo, ma ci vorrà ancora del tempo, non credo che Thompson abbia la speranza di poter tornare a disegnare. Peccato perché è davvero un ottimo disegnatore (e peccato per lui personalmente, la sua vita è stravolta, gli auguro di poter combattere la malattia al meglio) - io poi personalmente non mi sono affezionata ai suoi personaggi, ma capisco chi invece li ama e li ha seguiti fino ad adesso.

E niente, la smetto qui perché mi rendo conto che un post così deprimente non l'ho mai scritto fino ad adesso; e il "viaggio del giorno" è evidentemente "La strada" di sui sopra, se siete in forze leggetelo che ne vale la pena.

domenica 19 agosto 2012

Diario di viaggio...letterario - 13

Il viaggio inizia da qui. Tutti gli altri post sono leggibili sotto l'etichetta "Diario"

17/8/2012

Non ho molto da raccontare in questi giorni, il caldo afoso è tornato alla grande e sono un po' più mogia del solito, le energie le sto concentrando sul lavoro.
Da oggi torno per un po' a inchiostrare le mie tavole, quelle della seconda parte della storia di Nathan Never scritta da Giovanni Eccher. Sto ancora sperimentando la Wacom Touch per vedere se riesco ad abituarmici - a volte penso di sì, a volte penso sia meglio disattivarlo e lavorare solo con le express key; inoltre le punte per la penna che sono incluse in questa Intuos 5 le trovo troppo dure, alla fine sto usando come punta quella della mia vecchia pen (ne ho altre di scorta che avevo comprato poco tempo fa).
Con Milou naturalmente non si fanno passeggiate molto lunghe, lei soffre davvero molto il caldo (tranne quando si siede 5 minuti in cortile sotto il sole cocente), ma ho colto l'occasione per fare qualche foto del quartiere in cui noto che  piante di vario tipo stanno crescendo a vista d'occhio tra asfalto e marciapiedi: non ci vuol molto a capire come tutto tornerebbe selvaggio in fretta senza la presenza dell'uomo (c'è anche un libro che parla di questo, sto aspettando che esca in ebook).

La natura avanza

Ci sono diverse varietà vegetali

Qui dentro si possono trovare un sacco di lumache

Forse puliranno quando verranno su gli alberi

Non possono mancare in questo bel quartiere le solite nature morte tecnologiche

Le tv a tubo catodico vanno alla grande
A proposito della foto dove si vede un frigorifero: mentre ci stavo passando davanti ho incrociato un tale con busta della spesa in mano, incuriosito ha aperto gli sportelli del frigo dicendo: " Vediamo se c'è qualche cadavere, va'..."; ho avuto l'impressione che si aspettasse davvero ci fosse qualcosa dentro, tanto per divertirsi un po'.

Il viaggio del giorno: "David Copperfield" di Charles Dickens

Ieri stavo ascoltando una delle tante puntate di Wikiradio che mi sono scaricata in podcast, era quella dedicata a Charles Dickens. Tra gli inserti musical/letterari della puntata c'era anche un brano di "Canto di Natale" letto da Vinicio Capossela: non l'avevo mai ascoltato e mi è piaciuto molto (il modo di leggere di Capossela, intendo, che il racconto invece l'ho letto diversi anni fa e comunque chi non ne ha mai visto uno dei tanti adattamenti?).
"David Copperfield" l'ho letto da giovane e come al solito ho dimenticato molti dei particolari della lunga storia, ma non l'impressione che mi lasciò la prima parte con David ragazzino e l'ambientazione marina; mentre del resto del romanzo ricordo soprattutto la tristezza del matrimonio con questa donna (a leggere le descrizioni dello scrittore) abbastanza vacua, mi domandavo perché mai David Copperfield avesse dovuto sposarla - anche qui come per tanti uomini che si lamentano delle consorti: te l'ha prescritto il dottore di sposarti? Poi magari a quei tempi in effetti c'era chi poteva consigliarlo come soluzione pratica per tante cose (nel podcast Roberto Bertinetti ne fa cenno, e tra le altre cose che racconta della vita di Dickens fa venire voglia di leggerne una bella biografia - e non so se c'è, in italiano).
Ricordo anche lo sceneggiato della Rai che ha la mia età, ma se lo ricordo vuol dire che ne fecero delle repliche qualche anno dopo, oppure io ne ricordo un altro, non italiano, ma andato in onda nei primi anni settanta (ah, e poi ricordo come mi colpì l'esotico nome di Uriah Heep!).
Per gli appassionati degli audiolibri qui c'è il solito podcast di "Ad alta voce" del libro "David Copperfield", peccato che non ci siano le prime 8 puntate; qui invece  ho trovato un altro audiolibro, ma ne ignoro l'origine.

giovedì 16 agosto 2012

Intervista a Luca Malisan: disegnare per la Francia con Manga Studio -2

La prima parte dell'intervista a Luca Malisan si trova qui.

Nonostante l'agosto inoltrato ho avuto un quasi record di visite per il post con la prima parte dell'intervista a Luca: questo mi dà ragione per la mia ipotesi che vacanze o no le persone quest'anno sono un po' più "collegate" rispetto al solito; inoltre credo che le risposte di Luca abbiano suscitato molto interesse.
In questa seconda parte di intervista si parla di template, dpi, strumenti tecnologici, mercato francese, ebook readers, ecc.; volendo si poteva andare avanti con domande e risposte all'infinito, ma Luca ha anche una famiglia e io in effetti devo tornare al lavoro! Ma non finisce qui...prima o poi con Luca mi piacerebbe approfondire certi temi o affrontarne di nuovi, è un piacere parlare con qualcuno così disponibile e con cui sento molte affinità di pensiero.

[cliccare sulle immagini per ingrandirle]

D:  Domanda tecnica da disegnatrice curiosa: che misure usi per il template della tua tavola? A che risoluzione? In quale formato le esporti?
R:  In Francia ogni collana ha le sue misure, quindi aspetto che l'editore me le fornisca per crearmi un template apposito. Preferisco sempre ragionare sulla pagina finita, quindi il mio template è sempre corrispondente alle dimensioni fisiche dell'album. Dovendo fare delle tavole di prova per Bonelli (le ho appena fatte, incrocio le dita!) ho creato questo template:


Non sono sicurissimo di queste dimensioni (135x190mm per la “griglia”), le ho ottenute misurando le tavole di vari disegnatori e facendo una media. Se il lavoro andrà mai in porto, credo che mi faranno avere le dimensioni esatte! ;-)
Il formato in cui esporto è TIFF in bianco e nero. E separo il testo dal disegno, vale a dire che faccio l'esportazione due volte: una volta con il segno ma senza il testo (così ho la tavola con i balloon vuoti, che è più comoda da colorare), e una seconda volta con il solo testo (quindi ottengo un file quasi completamente bianco, solo con le letterine qui e là).
Siccome lavoro a dimensione effettiva di stampa, uso la risoluzione di 1200dpi. In Francia diversi editori stampano il segno davvero a 1200dpi, e la qualità si vede, soprattutto con tratteggi e segni sottili. Per il colore invece bastano 300dpi, quindi all'editore spediamo 3 files per ogni tavola: uno con il segno a 1200dpi in bianco e nero, uno con il colore a 300dpi in quadricromia ed uno con i testi a 1200dpi in bianco e nero. Poi loro sovrappongono il tutto.
Ecco un esempio per spiegarmi meglio:


D:  Molti disegnatori sono diffidenti verso il disegno digitale (e non parlo di chi legittimamente si trova bene con la carta e vuole continuare a disegnare su questo supporto - anzi, sono ben contenta di poter continuare a vedere tavole originali nelle mostre), mentre diversi lettori pensano che il segno digitale possa essere freddo e “meccanico”. Guardando i tuoi disegni non si direbbe affatto, così come per i disegni di tanti altri disegnatori che hanno iniziato a inchiostrare digitalmente: cosa ne pensi?
R:  Cerco di essere fresco e dinamico, anche perché la principale critica che ricevo è proprio quella di essere rigido. Ho ancora molta strada da fare, devo acquisire una sicurezza che ancora non ho raggiunto in tutti gli aspetti necessari. Tuttavia secondo me non è questione di strumenti, ma proprio di abilità personale. Paradossalmente trovo che il mio disegno sia più morbido proprio da quando lo faccio del tutto digitalmente: la serenità del fatto che ogni segno digitale è annullabile mi rende più sicuro rispetto alla carta, dove ogni tratto di china è “per sempre”.
Inoltre non ero per niente soddisfatto degli strumenti manuali: anni ed anni fa avevo trovato dei pennini che mi piacevano, ma ad un certo punto era diventato così difficile trovarli che mi sono chiesto: «ha senso che abbia vent'anni e che sia già ridotto così male da dover essere legato a pennini in via d'estinzione e debba fare chilometri per trovarli? a 50 anni che faccio?».
E i vari tipi di pennarelli, che continuo a provare, sono davvero “poveri” di espressività per i miei gusti. Coi pennelli andrebbe meglio, ma ci vuole grande esercizio zen per controllarli, e dovrei disegnare su fogli A2 per fare i dettagli che amo. Poi c'è la questione del “disegnare col bianco” che su carta è sempre difficile... Insomma, per ora trovo molta più varietà espressiva negli strumenti digitali che non nell'inchiostro su carta.
Inoltre per me non è stato questo gran stravolgimento perché da sempre ho usato il computer nel disegno, fin dagli inizi. Ormai ho fatto molte più tavole digitali che non di carta.
Comunque alla fine mi piace sempre fare una bella stampa su cartoncino A3 delle tavole, perché solo lì riesco ad avere il colpo d'occhio “vero” di quel che ho fatto: il “potere risolutivo” della carta riesce a fornire contemporaneamente la vista d'insieme e il dettaglio, nello stesso istante. Su monitor i pixels sono ancora troppo grossi: o fai zoom e vedi il dettaglio, o metti la pagina a schermo intero, ma allora non vedi bene i dettagli. La carta è ancora superiore, anche se credo avremo monitor “quasi carta” nel giro di 5 anni, ad occhio e croce. Vedremo.


D:  Hai ragione, per adesso rimango ancora un po’ delusa dalla resa a schermo del disegno quando questo viene ingrandito: i pixels danno fastidio anche a me. Mi domando se gli schermi retina potranno migliorare ad esempio il lavoro dei disegnatori digitali. A proposito di strumenti di lavoro, qual è il tuo rapporto con la tecnologia?
R:  Rapporto molto piacevole, la tecnologia rimane il mio hobby, quindi mi piace costruire da solo i computer dello studio, seguire le evoluzioni tecniche e programmare soluzioni software per le cose ripetitive o automatizzabili.
Uso una tavoletta Wacom Cintiq 24HD, le ho appiccicato una piccola tastiera in altro a sinistra, perché lo schermo è davvero enorme e occupava tutta la scrivania. Ho poi un tastierino Logitech G13, che è utilissimo e in ufficio usiamo tutti: ci appoggi sopra la mano sinistra (con la destra tengo la penna) e ha una trentina di tasti completamente personalizzabili, ai quali ho assegnato le combinazioni di tastiera che premo più spesso. In questo modo disegno e coloro molto rapidamente. Poi ho anche un mouse 3D che uso per navigare nei programmi di modellazione tridimensionale.
Sopra alla Cintiq ho anche un monitor Eizo di alta qualità, perché in Francia hanno standard tipografici davvero alti ed è fondamentale che quel che si vede a video sia il più vicino possibile alla resa in stampa. Le Cintiq sono buone, ma non ottime (soprattutto la 12wx ha dei colori troppo caldi). Inoltre ci tengo il pannello navigator di MangaStudio e Photoshop, in questo modo alzando gli occhi ho sempre il colpo d'occhio della pagina intera (mentre sulla Cintiq ho lo zoom sulla singola zona che sto disegnando/colorando). Ho anche una Intuos 5 piccola, che usa la stessa penna della Cintiq ed è “mappata” sul secondo monitor. Così raggiungo facilmente gli elementi su entrambi i monitor, passando semplicemente la penna dalla Cintiq alla Intuos e viceversa. Ce l'ho da poco, devo ancora approfondire e sfruttare il touch, che forse potrà trovare la sua utilità.
Sono ancora in cerca della soluzione perfetta, perché ho la Cintiq 24HD solo da inizio anno, ed è stata una rivoluzione, perché è davvero troppo enorme e mi ha obbligato a spostare e ripensare tutto quanto (e il cambio di posizione mi aveva anche fatto venire mal di schiena).
La mia postazione precedente era più sgombra, simile a quella attuale dei miei due colleghi: una Cintiq 12WX (molto più pratica, tuttavia un po' piccola per disegnarci, quando occupata dai vari pannelli di MS o Photoshop), il solito monitor secondario “serio”, la tastierina G13, tastiera normale e mouse.


D:  Invidio molto la tua competenza tecnologica! Ignoravo completamente l’esistenza di “mouse 3D” - dovrò informarmi. Io ho provato tempo fa la Cintiq 12 pollici, non mi sono trovata a mio agio perché mi dava fastidio il pur minimo spessore dello schermo che divide la punta della penna dalla “carta” virtuale; mi sentivo un po’ sfasata nel disegnare. Non so se con la pratica questa sensazione avrebbe potuto andare via; alla fine sono rimasta con la mia fedele Intuos, da poco ho comprato la Intuos 5 Touch, ha grandi potenzialità ma mi rendo conto che ci vuole più attenzione e pratica che con la vecchia Intuos: non sempre le gesture vengono rilevate, è una cosa che devo appurare se è possibile correggere con i settaggi o se è il mio modo di toccare la tavoletta (oltretutto provengo da una Wacom a cui avevo rovinato la superficie, per cui ci avevo applicato un foglio di un materiale plastico un po’ morbido: adesso devo riabituarmi alla superficie più dura della nuova Intuos). Domanda sulla conservazione delle tavole digitali - ovvero dei file: come siete organizzati in studio per stare tranquilli in questo senso?
R:  Lo sfasamento non mi dà particolare fastidio anzi, tendo a tarare la Cintiq in modo da avere qualche millimetro di distanza tra la punta della penna e il cursore, altrimenti in alcune situazioni (per esempio nell'area in alto a sinistra, per me che sono destro) la penna o le mie dita tenderebbero a coprire il cursore. Non mi dà più fastidio di quanto me ne potrebbe dare la lunghezza delle setole di un pennello. Gli occhi osservano il cursore, non la punta della penna, che è poi lo stesso atteggiamento che si ha con la tavoletta “classica”, in cui si osserva il cursore a schermo e si muove la mano “altrove”, solo che con la Cintiq tale distanza è ridotta al minimo (ma non a zero, appunto). Ovviamente serve un po' di esercizio, ma vale per qualsiasi strumento, e la differenza di precisione rispetto all'uso di una tavoletta “classica” è enorme. Non riesco a disegnare con la Intuos, mentre per colorare mi va benissimo.
Riguardo alla sicurezza dei dati, siamo paranoici! :-D Non stanno sui nostri computer “personali”, ma su un server centrale; in questo modo tutti hanno a disposizione e condividono sempre tutti i dati. Inoltre così centralizziamo in un unico posto i vari backup. Il server ha due dischi mirror (RAID 1, per i tecnici): in ogni istante i dati sono scritti su due dischi identici, se uno si guasta basta sostituirlo e il lavoro non si ferma. Inoltre Windows salva automaticamente varie versioni del file (così se hai salvato dopo aver fatto un errore, puoi provare a “tornare indietro”). Poi, ogni sera, viene fatto automaticamente un backup di tutto quanto su una coppia di dischi (usati a giorni alterni) che si trovano in un'altra stanza (furti, allagamenti, terremoti, cerchiamo di ridurre al minimo i rischi).
Periodicamente (ogni paio di mesi), copiamo il materiale d'archivio (cioè i lavori completati e non più utili) in due dischi che teniamo uno io a casa mia e uno il mio socio a casa sua. Il Friuli è zona sismica, con tempo medio di evento grave di 30 anni, quindi dal 1976 è già in ritardo, e può arrivare da un momento all'altro! ;-D
Inoltre, da qualche tempo ci siamo iscritti ad un sistema di backup online, che tiene copia dei "lavori in corso" su internet, come ulteriore sicurezza.
Come vedi, paranoia totale! D'altra parte, dall'inizio dell'anno, ci si sono rotti già 2 dischi sui vari computer. E nella mia vita ne ho visti "partire" a decine. Non voglio che il mio lavoro (e neanche le foto delle mie ferie, se è per quello), vadano in fumo.
Nonostante tutte le accortezze, capita comunque ogni tanto (raramente, eh!) di buttar via del lavoro perché si è stati distratti e, per esempio, lavorando l'ultima vignetta della tavola ci si accorge di aver rovinato per errore le precedenti. E in quei casi non c'è backup che tenga! Ci si arrabbia moltissimo poi, essendo in compagnia, spesso si finisce per riderci su... ;-)

D:  Completamente d’accordo sulla vostra paranoia (e spero che in caso di terremoto i danni siano contenuti, confido nel fatto che almeno in Friuli la ricostruzione dopo il 1976 sia stata fatta come si deve). Personalmente ho un disco esterno in cui faccio un backup completo ogni 3 ore (o quando lo decido io, a fine sessione di lavoro); a fine giornata i disegni su cui ho lavorato vengono salvati su chiavetta usb. Da qualche tempo la “story” su cui sto lavorando l’ho copiata e sincronizzata in tempo reale su Dropbox (solo quel file, che non è neanche la storia completa poiché io la divido in 3 parti almeno), in maniera da avere una copia anche degli ultimi 5 minuti di lavoro in caso di fusione del Mac! Ho un altro disco esterno su cui faccio dei backup dei dati ogni settimana. Adesso sto copiando tutto su vari dvd che voglio portare dai miei a Roma e lasciare lì, e così farò periodicamente quando andrò a Roma, in maniera da avere i miei dati in altro luogo fisico.
Torno a farti una domanda tecnica: più sopra hai menzionato il fatto che in Francia hanno alti standard per la stampa, e che usi uno schermo di marca Eizo; non conoscevo questi schermi, sono anche ignorante in fatto di colori, calibrazione degli stessi, ecc. (si vede che non sono una colorista). Quindi ti capita anche di colorare delle tavole? Lo schermo di cui parli costa molto? Infine: io ho un iMac 21 pollici, in realtà ignoro la sua affidabilità in materia di colori (ma so per certo che lo schermo lucido con i suoi riflessi non è il massimo) - magari hai colleghi che hanno un Mac, oppure ne hai sentito parlare, ma sai per caso se il mio schermo è decente per lavorarci a colori oppure no? A fine 2014 dovrò sicuramente colorarmi la copertina del Nathan Never gigante!
R:  Eizo è solo un produttore come altri, per quanto famoso per la qualità dei suoi schermi “per la grafica”. Tanto per non pubblicizzarne uno solo, ci sono anche NEC, Lacie, alcune linee Samsung, Dell, Apple, Asus, e anche altri. Il prezzo di uno di questi monitor “buoni” è in genere tra i 600 e i 1000 Euro, ma per i migliori si arriva anche a 2000E-3000E (ma non siamo così pazzi, né così ricchi!).
La “qualità” di cui parlo è la capacità di riprodurre tutti i colori che la stampa può produrre, e di farlo il più esattamente possibile. Cerco di spiegarmi: il file digitale che si consegna all'editore (e alla tipografia) contiene dei “numeri”. Tali numeri corrispondono a dei colori ben precisi nella realtà. Un monitor cerca di realizzare il colore corrispondente al tal numero accendendo delle luci dietro un vetro, mentre la stampa cerca di rappresentare lo stesso colore “sporcando” nel modo giusto un foglio bianco (che rifletterà la luce dell'ambiente nel quale il libro viene letto). Nessuno dei due metodi è perfetto ed è in grado di “creare” il colore “vero”, ma l'importante è cercare di avvicinarsi il più possibile. Supponiamo che la tipografia faccia un buon lavoro (cioè prende i tuoi “numeri” e li trasforma nei rispettivi colori con pochissimo errore): spetta a te fornirgli i numeri “giusti”. E come fai tu a scegliere i numeri? Ovviamente guardi il tuo monitor e scegli quelli che ti piacciono. Se per esempio succede che il tuo monitor è “sbagliato” e “scalda” i colori, tu potresti scegliere un bel giallo caldo per dei capelli biondi, ma è caldo solo per te, perché il tuo monitor te lo mostra così. E invece il “numero sottostante” corrisponde ad un giallo freddo, buono per i limoni ma decisamente fuori posto nei capelli.
Aggiungi che la maggior parte dei monitor “da centro commerciale” (e quelli del 99% dei PC portatili, tanto diffusi), mostrano colori che cambiano in base all'angolazione della tua testa, e come si fa?
Un monitor di qualità ha dei colori che non cambiano in base all'angolazione con cui li si guarda (parametro detto “angolo di visione”), è in grado di mostrare molti colori, in particolare tutti quelli della stampa (parametro detto “gamut”), ed è tarato decentemente fin dalla fabbrica in modo da essere il più fedele possibile. Inoltre i monitor tendono a cambiare i loro colori nel tempo (le luci tendono ad ingiallire ed affievolirsi con l'uso), e ogni tanto (1-2 mesi) vanno calibrati con un apposito aggeggio (calibratore, o colorimetro).
In questo modo sei sicura che quando scegli un colore sul tuo monitor, hai scelto il “numero” più corretto possibile rispetto a quello che desideri. Quindi poi puoi dare la colpa alla tipografia se il risultato ti sorprende. ;-)
Senza essere troppo maniaci, puoi semplicemente controllare di avere un monitor con un buon angolo di visione (sposta la testa, soprattutto in direzione alto-basso e controlla che i colori rimangano immobili e non appaiano aloni). L'iMac ha un buon monitor se non ricordo male, la scomodità principale è che è “tutto in uno” con il computer, quindi non puoi cambiarlo se non ti soddisfa.
Se conosci qualcuno che te lo può prestare, fai la calibrazione con un colorimetro (costa circa 100- 200E, quindi comprarlo solo per un disegno a colori ogni tanto sarebbe uno sproposito!), vale davvero la pena, perché purtroppo la maggior parte dei monitor, anche buoni, non sono calibrati correttamente e mostrano colori molto “distorti”, spesso eccessivamente forti (perché la gente, quando li guarda al centro commerciale, sceglie quelli coi colori più vivaci). Quindi poi ci si stupisce perché le stampe paiono “smorte”.
Ovviamente se il file della tua copertina passerà poi per altre “mani” che lo ritoccheranno prima di andare in stampa, il risultato dipenderà anche da questi ulteriori passaggi.


 Tavola da "Le Voyage de Sagittaire", edizioni Delcourt, non ancora uscito, testi di E.Corbeyran, colori di Paolo Francescutto

La tavola in bianco e nero con il disegno di Luca Malisan



D:  Mi hai accennato al fatto che abbiamo idee simili in fatto di uso degli ebook: hai un reader? Di che marca? Come lo usi - e in generale che abitudini di lettura digitale hai?
R:  Ho un Sony Touch da 6 pollici, il “vecchio” modello PRS-650, e mi ci trovo davvero bene. Ce l'ho ormai da qualche anno e ci ho letto libri per decine di migliaia di pagine. Lo trovo un dispositivo migliore del libro di carta per diversi aspetti, in particolare per la lettura di saggistica e romanzi, perché si tratta di letture che so di fare una volta sola, e la versione cartacea occuperebbe inutilmente posto in casa (già i traslochi sono stati una faticaccia!).
E' molto pratico per leggere “al volo”, con una mano sola mentre faccio altre cose, è robusto, piccolo, leggero e “tiene il segno” da solo, quindi riesco a leggere molto di più di prima, anche nei piccolissimi ritagli di tempo. Senza contare la comodità di acquistare i libri istantaneamente, a qualsiasi ora del giorno e della notte (vivo in un paesino di campagna, le poche librerie ben fornite sono a mezz'ora di macchina da casa).
Purtroppo gli editori non hanno ancora capito che il “prodotto libro digitale” è diverso dal “prodotto libro cartaceo”, e che ci sono persone come me che davvero preferiscono il primo al secondo (pensiamo anche a persone con problemi di vista, o di mobilità per raggiungere le librerie, ecc.). In alcuni casi ho evitato di acquistare un libro che mi interessava, proprio perché non disponibile in digitale; ho rinunciato a leggerlo, punto.
Mi piace fare un'analogia con candele e lampadine: la nascita delle lampadine non ha cancellato le candele dalla faccia della terra, ma ovviamente ci sono dei casi in cui una candela ha senso e una lampadina no (sulla torta di compleanno, durante un blackout...), e altre in cui vale il viceversa (far luce in cantina). Entrambe servono a far luce, una è un'invenzione più recente dell'altra, ma non è migliore, né in competizione, semplicemente ognuna ha i suoi punti di forza e punti deboli.
Le edizioni illegali avranno sempre diffusione se gli editori, come adesso, si rifiutano per scelta di mettere a disposizione la versione digitale. Siccome sono un autore, ho una sensibilità maggiore sull'argomento e possiedo dei “freni morali” che mi fanno evitare l'illegalità, ma non ci si può aspettare lo stesso atteggiamento da parte di tutti quanti.
Inoltre noto spessissimo che molti editori non curano l'edizione digitale, e mettono in vendita (a pagamento, con protezioni e tutti i crismi della legalità!) edizioni pessime, come saggi in cui i link alle note non sono cliccabili, o con i numeri di pagina (della versione cartacea) che compaiono all'improvviso in mezzo al testo e mille altre strafalcioni. A volte le edizioni illegali sono curate meglio.
Quindi sono molto soddisfatto del mio reader, ma il materiale in italiano con il quale riempirlo è ancora poco, eccessivamente costoso e di scarsa qualità. Nonostante questo, lo uso almeno una decina di minuti ogni giorno.
Non uso però il reader per leggere fumetti, troppo piccolo, il cambio pagina è lento, e la risoluzione è bassa per apprezzare dei disegni. Il tablet va meglio per il fumetto, soprattutto per i manga che hanno pagine piccoline, e lo uso anche per la lettura di siti internet, giornali online, blog... anche questa è “lettura”.
 Di solito per i fumetti (e in generale per il libri d'arte, fotografia e quelli dove le immagini hanno un peso importante) preferisco ancora la carta, perché ad un prezzo relativamente basso offre impareggiabile risoluzione, resa e qualità, un supporto duraturo ed affidabile, e la possibilità di essere rivenduto quando non più utile. Il digitale è ancora molto indietro su questi punti (che comunque per romanzi e saggi non trovo importanti).

D:  Puoi raccontarci un po’ della tua esperienza professionale in Francia? Ormai da vari anni lì si è costituita una specie di piccola colonia italiana, so che alcuni disegnatori italiani hanno la speranza di poterci lavorare, un giorno, ma immagino che non sia facile. Qui tanti si lamentano della gabbia bonelliana e delle cose che non si possono fare a livello creativo, ma guardando i cartonati francesi mi viene da dire che i paletti, le regole ci sono anche lì.
R:  La mia esperienza in Francia è bellissima, mi dà molte soddisfazioni. Purtroppo è anche (quasi!) la sola che conosco, quindi faccio un po' fatica a descriverne le differenze con l'Italia, per scarsa esperienza di quest'ultima... ;-)
Non conoscevo il mercato di fumetti in Francia, avevo solo letto molti Asterix da bambino, in biblioteca. Poi un giorno, ad un RiminiComix di almeno 10 anni fa, mostrando i miei lavori a colori da principiante alla tua collega Lola Airaghi, mi son sentito dire: «mi pare che colori bene, in Italia i fumetti a colori sono pochi, ma mi hanno detto che in Francia invece ce n'è molti, prova ad informarti...». Dopo questa prima “rivelazione” il secondo contatto con la Francia è avvenuto nel 2004: in un annuncio su Internet, Emanuele Tenderini cercava coloristi per “una serie a fumetti per il mercato francese”. Ho spedito le mie prove, che sono piaciute, anche se poi il lavoro non è andato in porto. Tenderini mi ha poi presentato ad Andrea Mutti, anche lui “italiano in Francia”, che cercava un colorista. Fatte le prove, piaciute, ho avuto il mio primo contratto da colorista, da cui è partito tutto. Mutti è diventato mio amico e mentore, mi ha dato consigli, e dato l'esempio di spirito e la grinta, non gli sarò mai abbastanza grato. Da allora ho cercato sempre di comportarmi bene, con qualità e consegne, e la cosa per ora ha dato i suoi frutti.
Credo di aver avuto la fortuna di approdare in Francia poco prima della crisi (generale, e del settore). Adesso probabilmente è più difficile “entrare”, perché gli editori sono meno disponibili a rischiare. Da diversi anni ormai vado annualmente al festival del fumetto di Angoulême e, mentre qualche anno fa c'erano effettivamente alcuni drappelli di aspiranti autori italiani, nelle ultime edizioni si erano moltiplicati e ce ne sono moltissimi. Ho un buon rapporto con gli autori francesi quando ci si incontra ai vari festival, tuttavia immagino che più di qualcuno veda con fastidio questa immigrazione (non ci sono solo gli italiani, ma anche molti spagnoli, e anche dall'est Europa, dalla Cina, dall'India). Il mercato franco-belga è grosso, ma grazie ad Internet non ci sono frontiere, io sono in concorrenza anche con autori che abitano in paesi in cui il costo della vita è un decimo di qui. Per fortuna la concorrenza è sana e positiva, basata sulla qualità: gli editor sono competenti, e i lettori esigenti. Io faccio il possibile, cerco di parlare francese, rispettare le consegne, fare un buon lavoro, andare d'accordo con tutti.
Dell'esperienza francese mi piace proprio questo aspetto totalmente “meritocratico”: il prossimo contratto va sempre conquistato. E' un po' stressante e non so se manterrò questa opinione per tutta la vita, ma per ora è una vera soddisfazione quando ricevo gli apprezzamenti di sceneggiatori ed editor, e quando ottengo un nuovo incarico, perché non è cosa scontata.
Dal punto di vista creativo in Francia viene posto l'accento sugli autori più che sui personaggi, in modo non troppo diverso da quel che da noi succede nella letteratura: i lettori affezionati aspettano il prossimo libro di Michael Connelly, più che il prossimo capitolo delle avventure dell'investigatore Harry Bosch, e così mi par funzionare per le serie a fumetti in Francia. Ovviamente l'autore più importante è lo sceneggiatore, la storia è sempre la prima ad essere giudicata dai lettori. I paletti e le regole ci sono, e ci sono editor e sceneggiatori ad imporle e farle rispettare. Le modifiche al disegno possono essere chieste dall'uno o dall'altro. La maggior parte delle volte sono sensate, e semplicemente seguo i consigli. A volte sono più convinto della mia idea, allora la spiego e se ne discute, fino a trovare una soluzione che accontenti tutti. Nessuno che non sia un autore mette mano alle tavole: mi occupo io anche degli eventuali refusi tipografici nel lettering. I file che
invio vanno in stampa esattamente come sono, c'è molto rispetto. Mi sono sempre trovato bene con gli editor, mi hanno sempre dato le giuste dritte e anche le corrette “bacchettate”, trovo fondamentale avere qualcuno che osserva con cura quello che fai e ti aiuta a migliorare.
In Francia il fumetto è un prodotto “da libreria” e ci sono quasi una decina di grosse case editrici di fumetto (delle dimensioni delle nostre Einaudi e Mondadori), che si fanno sfrenata concorrenza, con un parco di lettori enorme di tutte le età (in Francia circa un libro su 3 venduti è un libro a fumetti). Quindi trovo ovvio che vi siano strutture e abitudini molto diverse, non voglio assolutamente dire che gli editori francesi siano migliori di quelli italiani. Anche perché i numeri di Bonelli sono talmente enormi che mi smentirebbero immediatamente! Non credo esista nessun editore al mondo, se non forse in Giappone, che produca mensilmente il numero di tavole che produce la Bonelli, con tali standard di qualità e tali volumi di vendita.
Non ho esperienza di lamentele sui “paletti creativi” in Italia, ma non mi pare il caso di dare la colpa alla Bonelli di “imporre la gabbia bonelliana”. Lo può fare con i propri autori (e se lo fa, immagino ci sia un motivo), ma qualunque altro editore è libero di fare i propri libri in modo diverso, e infatti molti lo fanno.
In ogni caso uno dei miei obiettivi è disegnare anche per qualche casa editrice italiana, perché è strano far fumetti tutto il giorno, ma non poter dare a nessuno dei tuoi conoscenti una copia in cui possono leggerti in italiano! :-D
Ringrazio moltissimo te per lo spazio che mi hai concesso, e i lettori per la pazienza!

Bellissima e interessante chiacchierata, sono io che ringrazio Luca - tra l'altro in privato mi ha mandato un sacco di consigli su come gestire la risoluzione in dpi di una pagina, su come poter calibrare il monitor, ecc.: al suo confronto mi sento una principiante in queste cose - per non dire peggio.
Luca Malisan ha anche colorato degli albi italiani, metto di seguito alcuni link:

- Crimini finanziari
- Progetto cold fusion. La sindrome di Caino: 1
L'opera in nero. La sindrome di Caino: 2

Si può trovare in vendita in digitale la sua storia scritta e disegnata per la 24H di fumetto, formato mobi, qui (una storia scritta, disegnata e anche colorata in 24 ore e con ottima qualità: non so come abbia fatto!).






mercoledì 15 agosto 2012

Un Ferragosto pieno di link

Milou in cortile oggi sotto il sole cocente - ho dovuto faticare per farla spostare di lì!
In attesa che passi questo Ferragosto (credo che quasi tutti siano giustamente a riposarsi o divertirsi da qualche parte) pensavo di pubblicare un elenco di post consigliati che nel frattempo mi si sono accumulati nel mio Instapaper; domani o dopodomani pubblicherò invece la seconda parte dell'intervista a Luca Malisan: come immaginavo ho avuto un picco di visite aldilà del normale - e pensare che siamo a metà agosto!
Prima dei link due parole sul nuovo social-coso a cui mi sono iscritta: Pinterest è una specie di vetrina per collezionatori compulsivi di immagini (anche se si possono mostrare video e testi); con il bookmarklet "Pin it" a portata di mano nella menubar si possono raccogliere le immagini che ci interessano girando per il web e smistarle magari  tra "lavagnette" tematiche che avremo creato nel nostro account (andate a vedere il mio per farvi un'idea).
Di solito quando "pinzate" un'immagine dovrebbe essere indicato automaticamente anche il link da cui proviene, con relative attribuzioni: buona regola sarebbe quella di aggiungerle nella descrizione se queste non compaiono per qualche motivo.
Confesso che la maggior parte delle immagini che raccoglierò nelle mie bachechine potrebbero essermi utili per il mio lavoro, come fonte d'ispirazione o come documentazione: la cosa bella di Pinterest è che si possono "seguire" non solo i singoli utenti, ma anche determinate bacheche che abbiano un tema specifico di nostro interesse.
Pinterest fino a poco tempo fa era a inviti, ma il suo successo si sta allargando a dismisura (potete notare l'icona "Pin it" in molti articoli di blog, accanto a quelle di Twitter o Facebook) e adesso è ad accesso libero; al contrario di Tumbrl si possono lasciare commenti, ma simile è la possibilità di "ripinnare", mettere "like", condividere con i social network.
Per adesso l'interfaccia non prevede l'italiano, ma non credo sia difficile capirci qualcosa; dopo l'iscrizione vi troverete già degli utenti da seguire, ma potete "disiscriverli" e cercarvi (se volete) quelli che vi interessano o le singole "board": attraverso la casella "search" potete cercare qualsiasi oggetto soggetto o tema, tanto per esplorare un po'.

Adesso i link:



martedì 14 agosto 2012

Intervista a Luca Malisan: disegnare per la Francia con Manga Studio - 1

Fino a poche settimane fa non conoscevo Luca (anche se mi sembrava un nome già sentito, magari letto in relazione alle sue poche pubblicazioni italiane); poi è successa una di quelle cose che mi ripaga del tempo che dedico al blog e a Manga Studio, e cioè Luca Malisan mi ha scritto una mail, e l'ha fatto solo per ringraziarmi per i mini tutorial e in generale per il blog.
Luca Malisan è un colorista e un disegnatore che lavora da diversi anni per il mercato francese, nell'intervista che segue (e che ho diviso in due parti) parlerà di cose molto interessanti - del suo rapporto con la tecnologia, di Manga Studio, della Francia, del suo lavoro.
L'idea mi è nata dopo aver ricevuto un'altra sua mail che rispondeva a delle mie domande "curiose": praticamente c'era già scritta più di metà dell'intervista! Dato l'interesse che sono sicura susciterà per gli aspiranti disegnatori di fumetti questa intervista è un peccato che se la possano perdere gli interessati, la metterò in rilievo anche in autunno, quando saranno tornate molte persone dalle vacanze; ho deciso di non posticiparne la pubblicazione perché ho l'impressione che quest'anno comunque ci siano più persone rimaste a casa, ma anche quelle in vacanza mi sembrano più collegate alla rete rispetto agli anni passati.
Durante lo scambio epistolare con Luca abbiamo subito capito di avere le stesse idee su tante cose, ma la cosa che più mi ha colpito è la sua umiltà e la sua dedizione al lavoro, direi la sua passione per questo mestiere che non è affatto facile anche quando si raggiungono determinati risultati.
Dopo aver letto le sue risposte nell'intervista la tentazione era quella di fargliene tantissime altre, sicuramente l'incontro/scambio con Luca Malisan non finisce qua, magari in futuro si potrà pensare a un altro post, o qualche altra forma in cui discutere del nostro lavoro o semplicemente della nostra passione per i fumetti (nell'intervista in effetti dimentico di parlare dei fumetti che più ama - tanto eravamo concentrati sull'aspetto tecnico del produrli!).
Luca è stato tanto gentile da spiegare le fasi di lavorazione in Manga Studio con l'ausilio di foto - cosa che credo farà piacere a molti fan del programma.
A fine intervista ci saranno diversi link in caso siate interessati agli albi disegnati da Luca; intanto potete visitare lo studio Gotem in cui lavora, oppure il suo sito personale.
[cliccare sulle immagini per ingrandirle]
Tavola tratta da ""Les Amants de Carcassonne", edizioni Glènat, luglio 2012, testi di L.F. Bollée, colori di Dimitri Fogolin

Stessa tavola con il disegno in bianco e nero di Luca Malisan

Intervista a Luca Malisan

D: Ciao Luca, puoi presentarti ai lettori del mio blog parlando un po’ di te e della tua carriera di fumettista?

R: Ciao Patrizia, grazie dello spazio che mi offri! Lavoro professionalmente nel fumetto dal 2005, e ho cominciato come colorista; da circa 4 anni sono anche disegnatore, ma continuo anche a colorare. Il 90% del mio lavoro è per case editrici franco-belghe, e pochi dei miei lavori si sono visti in Italia.
Ho cominciato a disegnare e colorare nel 1997, seguendo un corso tenuto da Davide Toffolo (che nel Nord-Est faceva moltissimi corsi e credo avesse più “discepoli” che lettori!). Era un breve corso di 30 ore, che mi ha insegnato le basi del mestiere e, soprattutto, mi ha messo in contatto con altre persone che avevano la stessa passione e sogno professionale. Con alcuni di questi amici, concluso il corso, abbiamo continuato da soli e creato l'Associazione “Fame Comics”, per autoprodurre una fanzine ed altri libri a fumetti. Dopo un po' di anni eravamo diventati una piccola casa editrice, per quanto gestita su base volontaria nel nostro tempo libero.
Non ho fatto scuole artistiche, perché non ho mai creduto di riuscire a guadagnarmi da vivere solo attraverso il fumetto. Ho sempre pensato di doverlo affiancare ad un “lavoro vero” (ancora adesso capita di sentirsi dire: «Ah, fai fumetti... bello! Ma di lavoro cosa fai?»). Quindi ho studiato tutt'altro, diventando ingegnere informatico; per un po' ho fatto il programmatore di giorno e il colorista di fumetti di notte. Quando la cosa è diventata insostenibile, ho abbandonato il lavoro da impiegato (uno di quei bei contratti a tempo indeterminato di una volta, ormai estinti come i brontosauri... ricordo ancora mia madre disperata!) e ho scelto il fumetto a tempo pieno.
Finora ho disegnato 5 albi “alla francese”, e ho colorato almeno un migliaio di tavole di diversi autori. Paradossalmente è raro che riesca a colorare i miei disegni: il lavoro è molto e non essendo superveloce, ho bisogno che qualcun altro colori le mie tavole, per rispettare le scadenze. E invece continuo a colorare album di autori coi quali ho un rapporto ben collaudato.
Il lavoro poi è piano piano aumentato e nel 2008 ho fondato il “Gotem Studio” con Dimitri Fogolin e Paolo Francescutto, che erano i miei collaboratori più fidati, amici fin dai tempi del corso con Toffolo. Ora sono i miei soci, e lavoriamo fianco a fianco tutti i giorni dalla mattina alla sera.


D: Da quando hai iniziato a usare Manga Studio e come ne sei venuto a conoscenza ?
R:  Ho iniziato nel 2009, quando disegnavo il mio secondo libro in Francia. Già da qualche anno facevo esperimenti con l'inchiostrazione digitale, perché ero poco soddisfatto degli strumenti tradizionali. Ero un appassionato dell'inchiostrazione a pennino, ma i pennini stavano diventando oggetti d'antiquariato! Già usavo Photoshop per colorare, e quindi ho cominciato ad inchiostrare con quello. Con Photoshop ho inchiostrato una cinquantina di pagine (il mio primo albo francese), ma molte cose mi lasciavano insoddisfatto, in particolare gli strumenti per le linee regolari, come quelle delle architetture (che nel fumetto sono molte!). In pratica esisteva quasi solo lo strumento “riga” che tracciava linee regolarissime e freddissime.
Quindi ho sperimentato diversi altri programmi e in qualche modo sono arrivato a Manga Studio, col quale ho fatto delle prime prove. I suoi pennini mi hanno subito conquistato: mi davano la stessa sensazione dei vecchi pennini ad inchiostro che amavo. Inoltre c'erano i ruler, ed in particolare i perspective ruler, che erano una vera manna dal cielo per le architetture!
Il programma aveva tuttavia un'apparenza un po' “giocosa”, e la parola “manga” era davvero preoccupante... questo perché da sempre, ogni volta che mostravo le mie tavole a qualche professionista, mi sentivo dire: «il tuo disegno è troppo manga!». Era diventata un'ossessione, con i miei colleghi ne ridiamo ancora: non appena disegno due linee cinetiche su qualche vignetta loro mi riprendono subito dicendo: «è troppo manga!».
Ma ecco che ho incontrato le tue “Mini lezioni di Manga Studio”! Tu disegnavi Nathan Never (che era sempre stato il mio fumetto italiano preferito) e mi sono detto: «Se lo usa una disegnatrice professionista per la casa editrice di fumetti italiani per antonomasia, potrò ben usarlo io in Francia!»... Mi hai fornito non solo i primi rudimenti sul programma, ma anche la “giustificazione intellettuale”! :-D
Nel rileggerle adesso, queste cose mi sembrano davvero assurdità! Tuttavia non hai idea di quante volte mi sia sentito dire: «sei troppo manga!», tra l'altro come se fosse chissà quale malattia insanabile... Alla fine degli anni '90, inizio 2000, a quanto pare in Italia c'era una vera e propria guerra ideologica tra “manga” e “fumetti”, e i cattivi risultati di questo atteggiamento li possiamo vedere adesso, con il solco insanabile che c'è tra lettori (e mercato) di fumetti e di manga.
Io sono sempre stato “laico” su questo argomento e, pur amando il genere realistico, ho sempre usato le soluzioni che mi parevano migliori, anche retini e linee cinetiche, se mi sembrava servissero.


D:  In che maniera usi Manga Studio?
R:  Lo uso pressoché per tutta la fase di disegno. In genere stampo su carta la sceneggiatura, una tavola di fumetto per ogni foglio; sui margini del foglio, vicino al testo delle varie vignette, faccio dei piccoli disegnini a matita in cui decido le inquadrature. Quello è l'unico foglio di carta “fisico” che uso, poi passo a MS (versione 4 EX), dove ho già preparato la story all'inizio del lavoro, con le dimensioni della pagina, i margini, ecc. In Francia ogni volume ha dimensioni e margini leggermente diversi, mi faccio i vari page templates personalizzati per ciascun albo.
A quel punto disegno i riquadri delle vignette: creo un panel ruler layer, dalla sezione Ruler della palette Layers:
Poi lo ritaglio approssimativamente con il panel layer cutter e lo lascio ancora modificabile:

A questo punto copio e incollo tutti i testi dalla sceneggiatura e faccio il lettering, balloon compresi (ma senza "pipa", perché non essendoci il disegno non saprei bene dove farla puntare). In questo modo capisco se qualche vignetta è troppo piccola, se la griglia va cambiata perché il flusso di lettura dei balloon sia chiaro, ecc.
Questa fase mi prende diverso tempo, perché nel fumetto francese la griglia è molto libera (e quindi richiede responsabilità ed attenzione), gli sceneggiatori (salvo eccezioni) non danno alcuna indicazione su forma e posizione delle vignette. Alcuni addirittura non mi indicano neppure le vignette, e la loro sceneggiatura è un “racconto della pagina” con i dialoghi. Quindi è utilissima la libertà che ti dà MS nel spostare le linee della griglia (con lo strumento object selector) e tutto quanto.
A quel punto ho la mia pagina di fumetto letterata ma con le vignette tutte bianche (ho sfocato i testi della schermata, per evitare problemi, trattandosi di un lavoro in corso):
A volte, se sono ancora insicuro sulle inquadrature, stampo e faccio ancora layout su carta, ma di solito passo subito a disegnare.


D:  Quindi se non ho capito male inserisci i balloon con i testi basandoti sui disegnini realizzati a mo’ di layout - intendo per la loro disposizione. Le pipe le aggiungi dopo su un altro livello, immagino; in effetti lo strumento balloon in Manga Studio non permette di farne lunghe e con curve come si vedono nei fumetti francesi.
E’ molto interessante sapere che in Francia un disegnatore deve occuparsi anche del lettering. Se copi e incolli i testi in Manga Studio significa che usi le font del programma? O ne hai inseriti di tuoi personali? In questo caso dove li hai trovati?
R:   Sì, i balloon li posiziono in base ai layout veloci a margine sceneggiatura, ma poi li riposiziono e ritocco spesso, in base allo spazio che occupano e per agevolare il senso di lettura. Mi riservo di spostarli e ritoccarli di nuovo quando ci sarà il disegno, in modo che il tutto sia ben equilibrato esteticamente.
Per le pipe uso lo strumento di MS: si riesce facilmente a fare pipe di tutte le forme, anche con molte curve (tenere premuto CTRL e fare click sullo “scheletro” di una pipa per aggiungere un “punto di piegatura” che è poi possibile spostare per curvarla):

Riguardo alle font, io per il lettering di solito uso la “classica” WildWords della ComicCraft (versione “europea” con tutti gli accenti). Mi ero anche fatto una font personalizzata con la mia scrittura, ma non ho una bellissima grafia, e il risultato era troppo disordinato rispetto al resto della tavola. Tra le font gratuite, decenti e con gli accenti, non sono male per il lettering neppure “Anime Ace” e “Digital Strip”. Le font sono “di sistema”, quindi basta installarle nell'apposita cartella di Windows (o del Mac) e tutti i programmi possono usarle.
Di solito uso gli stili, in modo da essere omogeneo su tutto l'albo e non dovermi ricordare: «l'urlato lo facevo corpo 7 o corpo 8?». Basta creare lo stile la prima volta, dargli un nome e poi selezionarlo dalla lista quando si inserisce il testo. Ecco la schermata degli stili:





Per le onomatopee uso delle font diverse, ma lì il discorso si fa più complicato, perché di solito è necessario rasterizzare il layer di testo, per poterlo ritoccare e pasticciare a piacimento, a seconda dell'effetto sonoro. Devo dire che gli strumenti per i testi in MS non sono granché, sarebbe molto meglio Adobe InDesign per letterare. Tuttavia il pregio di aver tutto dentro lo stesso programma, e di poter spostare facilmente balloon e pipe mentre disegno mi fa sopportare tutte le magagne della gestione del testo di MS.


D:  Quali strumenti usi di più in Manga Studio, e come?
R:  Per disegnare trovo utilissimi i perspective ruler, che permettono di fare agilmente ambientazioni complesse (in Francia apprezzano moltissimo i paesaggi, i campi medi e lunghi, tocca sempre curare moltissimo gli sfondi). Sono il motivo per il quale ho trasferito in digitale anche la fase delle matite: non aveva senso diventare pazzi con lunghe stecche e righelli per fare le prospettive “a mano” quando c'era uno strumento che era così utile proprio per la fase di disegno.
Per l'inchiostrazione mi sono personalizzato alcuni strumenti, soprattutto pennini e pennelli. In particolare uso una modifica del pennino “G” per il grosso del segno, un'altra modifica del pennino “Brush” per le linee più “morbide” (i capelli ad esempio), poi gli strumenti linea o curva in alcuni casi (ma di solito preferisco creare dei ruler e seguirli con gli strumenti “manuali”, perché linee e curve hanno risultati troppo regolari). Poi qualche pattern brush per cosette come tratteggi, puntini, ecc... ma poca roba, perché secondo me i soliti pattern, se usati troppo, finiscono per attirare troppo l'attenzione e dare quello spiacevole effetto di “fatto a computer”.
Ho poi un pennello più grosso per le zone più nere (che però di solito non sono molte nel fumetto che andrà colorato). Comunque mi piace sperimentare e cambiare, quindi ogni tanto gioco con le varie impostazioni e cambio un po' i miei strumenti.
Di solito i dettagli degli sfondi (e sempre più cose) li faccio direttamente ad inchiostro, perché in digitale è altrettanto cancellabile della matita e quindi provo a risparmiare tempo lasciando la matita al minimo. Uso molte fotografie di riferimento, per sfondi ma anche pose (mi faccio degli autoscatti), e costruisco in 3D gli ambienti o gli elementi più complessi e ricorrenti.


D:  Che programma usi per costruire in 3D? Non ti porta via troppo tempo?
R:   Uso diversi programmi, ma in particolare SketchUp (che era di Google, ora è di Trimble) per le architetture e soprattutto perché permette di accedere immediatamente ad un'enorme libreria di modelli esistenti, fatti e pubblicati volontariamente da chiunque nel mondo, che permettono di trovare quasi tutto: palazzi famosi, automobili, armi... quindi si risparmia tempo perché molti modelli sono già pronti. Alla fin fine non serve che il modello sia precisissimo, ma solamente che “vada vicino” a quel che serve, per far da guida.
Ecco un esempio di una scena costruita in SketchUp (le auto provengono dalla libreria):
In alcuni casi devo invece modellare da solo un architettura, e allora vale la pena farlo solo per quegli ambienti o elementi che torneranno molto spesso oppure che sono particolarmente complessi. Comunque SketchUp è piuttosto efficiente, una volta che si impara per bene a controllarlo. Ecco un esempio di un'architettura complicata che ho preferito modellare in 3D per meglio disegnarla (mi ci è voluta una giornata di lavoro per la modellazione):

Bene, questa è la prima parte della lunga intervista a Luca, tra qualche giorno pubblicherò la seconda e ultima parte. Sono davvero contenta di aver trovato una persona come Luca, così gentile e disponibile, e anche precisa!
Se masticate un pò di francese potete trovare i suoi albi in vendita:
La croisade des enfants
La conjuration de Cluny
Le Crépuscule de Tellure, Tome 1 : Saliriandre
Le Crépuscule de Tellure, Tome 2/3 : Le Duché de Richt
Les amants de Carcassonne 
e anche delle anteprime sui siti dell'editore: qui, qui e qui.

La seconda parte dell'intervista è qui.




domenica 12 agosto 2012

Diario di viaggio...letterario -12


Il viaggio inizia da qui. Tutti gli altri post sono leggibili sotto l'etichetta "Diario"

11/8/2012

Gita al centro (Palazzo Reale è sulla destra fuori campo, un po' più avanti)
Oggi giorno di riposo. Ho controllato la mia tabellina di marcia e il mio lavoro di inchiostrazione procede bene, sono abbastanza soddisfatta.
Con un'amica stamattina sono andata a vedere le mostre a Palazzo Reale, a Milano, che fino al 26 agosto sono gratis (così come l'accesso ai veri musei civici della città ).
Le due mostre principali sono quelle sugli anni 70 ("Addio anni 70. Arte a Milano 1969-1980") e su Fabio Mauri ("Fabio Mauri. The End"), che operó soprattutto in quegli anni: arte povera, arte concettuale, installazioni, video e perfomance, ma soprattutto arte d'impegno, arte che scende in strada e interpreta o rappresenta i movimenti sociali di quegli anni così densi e agitati.
Mi riprometto di parlare meglio di quegli anni (artisticamente parlando ) in un post a parte, improvvisamente guardando la mostra di Mauri mi sono ricordata che nel 1989 lo intervistai  in occasione della redazione della mia tesi di storia dell'arte ( fatta in collaborazione con S. M. e Renato Galasso), il titolo era: "Arte italiana. 1959-1963".
In quel periodo l'arte povera e l'arte concettuale mi piacevano tantissimo, avrei voluto fare una tesi su Piero Manzoni, ma poi la prof mi indirizzó verso una tesi più ampia, e così alla fine lavorammo in tre su diversi fronti: la ricerca sulle riviste dell'epoca, le mostre più importanti di quegli anni, le interviste a personaggi che furono importanti, sia artisti che curatori o critici.
Adesso non saprei bene come leggere certe opere (che durante gli anni d'Accademia mi colpivano soprattutto sensorialmente ed emotivamente), e infatti molte delle cose che ho visto nelle due mostre di Palazzo Reale mi hanno lasciato a volte perplessa, a volte sorpresa; diverse altre però mi sono piaciute molto, altre ancora mi sembravano provenire non da un'epoca lontana, ma da un mondo alieno.
C'erano molte riviste d'epoca da sfogliare, video da guardare, installazioni su cui riflettere; io non ci ho certo dedicato il tempo dovuto, anche perché dopo quasi un'ora e mezzo avevo la gambe distrutte; questo fatto non è solo legato al problema al ginocchio destro che ho da anni, ma anche a nuovi problemi sorti forse non a caso da quando sono aumentata di peso (ma anche prima ho sempre avuto scarsa autonomia di "passeggio", e infatti non mi sono mai piaciute le vacanze di tipo turistico - "vedi il più possibile in tot ore" - adesso poi sarebbe impossibile).
Ho fatto in tempo a vedere "I funerali dell'anarchico Pinelli" di Enrico Baj, opera esposta nell'affascinante sala delle Cariatidi (che non avevo mai visto prima). Mi riprometto di riguardare questo quadro/installazione con più attenzione e magari con l'aiuto di qualche testo critico.
Dopo aver fatto questo bel giro al Palazzo Reale mi sono seduta al bar superiore della Mondadori lì vicino, per riprendermi dalla stanchezza; da lì ho fatto la foto a piazza del Duomo.

Viaggio del giorno: "I ragazzi della via Pál" di Ferenc Molnár

Da ragazzina questo libro mi colpì molto per la sorte tristissima di Nemeczek, l'unico "soldato semplice" delle due bande di ragazzini che si affrontavano nel campo vicino una segheria.
Già allora mi sembrava eccessiva questa dedizione a un codice d'onore militaresco, ma a anche a un modo estremo di intendere la lealtà e l'amicizia (tanto da portare un ragazzo a una morte inutile e assurda). Quei ragazzini facevano le prove di quello che sarebbe diventato il carnaio della prima guerra mondiale.
Sotto un altro aspetto il libro è scritto benissimo e certamente fa leva su determinati tipi di sentimenti che possono avere il loro fascino a quella età; ancora adesso ricordo benissimo le prime frasi del libro, e diverse altre scene che mi rimasero impresse. Venivo anche io da un periodo in cui giocavo con la mia "banda" con altri ragazzini del quartiere, e certe volte il confronto era aspro, alimentato dai più testosteronici del gruppo (in una "battaglia" per non si sa cosa una volta mi beccai una pietra sulla nuca che mi procurò un bel bozzo, gli "avversari" erano dotati di fionde di un certo livello).
Se qualcuno è interessato all'audiolibro qui c'è il link alla benemerita trasmissione "Ad alta voce".

giovedì 9 agosto 2012

Diario di viaggio...letterario -11

Il viaggio inizia da qui. Tutti gli altri post sono leggibili sotto l'etichetta "Diario"


8/9/2012

La città di Milano solo adesso mi sembra che inizi a svuotarsi un po'. Tuttavia - e so di insistere su questo tasto come una vecchietta insofferente - so che questo significa sentire meglio determinati suoni e rumori molesti, che il vuoto dele strade amplifica in echi surreali. Stanotte (era quasi mezzanotte) un tipo in motoretta si è fermato sotto casa perché necessitato di parlare al cellulare: 15 minute filate senza sosta (l'interlocutore aveva poco da dire, evidentemente).
Questa cosa dell'avere sotto casa persone che parlano animatamente è una tradizione, non so perché, pare che l'angolo di strada sottostante sia particolarmente adatto a fermarsi e chiacchierare a tutte le ore - sarà la vicinanza con la strada che costeggia il naviglio, sarà che la mia via è diventata col tempo strada di passaggio per andare altrove...boh.
Questa volta la passeggiata pomeridiana con Milou si è spinta fino al parchetto oltre il naviglio (in questi giorni caldi ho evitato di farla camminare troppo); siamo state all'ombra, il giro è stato breve.

Il video con il tutorial su Manga Studio è stato molto apprezzato, a giudicare dalle visite sia sul blog che su Youtube. Loris Cantarelli mi chiede chi me lo fa fare :) (sottinteso: tutta questa fatica), e in effetti le risposte possono essere le solite, oppure no, non so bene se è un misto di divertimento, di impegno in risposta a quelli da cui attingo informazioni simili, di modo di tener viva una certa capacità di comunicare (potrebbe essermi utile un giorno).
In ogni caso la prossima volta...non sarà prossima!, sperando di trovare un modo più veloce per creare e caricare il video su Youtube.

Ieri non ho voluto vedere il video con la conferenza stampa di Schwazer, il maratoneta che ha confessato (dopo essere stato beccato dall'antidoping) di aver preso l'Epo; tuttavia sento abitualmente per radio diverse trasmissioni che ne hanno parlato ampiamente, con stralci audio di questa conferenza.
Difficile non rimanere colpiti da tutta la vicenda, anche perché è raro che un atleta, seppur beccato ai controlli, non inizi a inventarsi scuse una più fantasiosa dell'altra; è perciò da prendere sul serio l'angoscia di quest'uomo, ed è probabilmente vero quello che dice sul fatto che si sentiva costretto dalle attese altrui a continuare un'attività che non lo divertiva più da tempo.
Altro è credere ai particolari di come sia finito a comprare ed assumere l'Epo: se fosse così facile ci sarebbe da preoccuparsi - mi sembra chiaro che non è ancora pronto a dire le cose come stanno.
In una trasmissione radio ho sentito anche avanzare proposte di doping controllato e alla luce del sole, un po' come provocazione, un po' no; il problema del doping è che finché ci saranno tanti denari che girano intorno allo sport ci saranno sempre tantissimi atleti che vorranno ricorrerci, o senza alcun scrupolo, o perché si sentiranno dire che altrimenti non gareggerebbero alla pari degli altri dopati (e l'antidoping insegue sempre le nuove scoperte del doping, non so con quanta distanza).
A questo punto se tutti fossero dopati si ristabilirebbero di nuovo i valori basati sul talento e la costanza - faccio per dire, che il doping comunque è deleterio per la salute.
Quanti di quelli che sono adesso alle Olimpiadi hanno preso delle sostanze più moderne dell'Epo? Come si fa ad assistere alle gare non sapendo chi vince "in maniera naturale" e chi no?
Le dichiarazioni di Schwazer dovrebbero far riflettere: altro che "l'importante è partecipare", se non vinci non sei nulla. D'altronde tutto il sistema è basato sul mettere a fuoco solo la medaglia: i dirigenti della varie associazioni nazionali che fanno previsioni al bilancino su quante medaglie si vinceranno, l'ossessione per la classifica "del medagliere", l'importanza e la dittatura degli sponsor.
Sul doping bisognerebbe fare una riflessione più ampia, riflettere su cosa è lo sport oggi; altrimenti si continuerà così -  guardie e ladri, persone alla gogna, ipocrisie varie.

Il viaggio del giorno: "Il gran sole di Hiroshima" di Karl Brückner

Letto da ragazzina, ricordo la commozione che mi aveva procurato la storia, senza per ciò riflettere molto su cosa fosse e cosa avesse rappresentato la bomba atomica - forse ero troppo piccola.
Ho ripensato a questo libro perché qualche giorno fa c'è stato l'anniversario del bombardamento su Hiroshima, e oggi quello su Nagasaki.
Qualche anno fa ho letto un libro che non è ambientato a qualche anno dopo quella tragedia (come ne "Il gran sole"), ma proprio durante il bombardamento: "La pioggia nera" di Ibuse Masuji. Se ne parla qui e concordo con la recensione; certamente non è una lettura da fare in momenti di malinconia, ma la consiglio per chi vuole sapere cosa è successo in quel giorno (e nei successivi) e cosa hanno patito i giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.