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giovedì 23 agosto 2012

Diario di viaggio... letterario -14

Il viaggio inizia da qui. Tutti gli altri post sono leggibili sotto l'etichetta "Diario"

22/8/2012


Grondo sudore in maniera immonda. Ho un ventilatore nello studio e  uno in camera, ma quando mi sposto o devo fare delle cose altrove mi sembra di ardere - che brutta sensazione.
L'estate comunque si avvia verso la sua fase finale, un'estate particolarmente triste sia perché sono venuti a mancare diversi artisti - l'ultimo è il grande Sergio Toppi - sia perché in giro vedo intensificarsi gli effetti della crisi; per non parlare degli incendi sempre più numerosi e dei cambiamenti climatici che fanno prevedere tempi difficili per la Terra e gli esseri umani che ci vivono (non si stanno sciogliendo solo le calotte polari, basta vedere lo stato dei ghiacciai sulle Alpi - e i conseguenti aumentati incidenti mortali anche di guide esperte).
Non è che mi senta più catastrofista del solito: da tempo osservo l'andazzo delle cose umane, e cerco di informarmi nella maniera più scientifica possibile. Oltre ai dati nudi e crudi esiste sempre la variabile umana, che ogni tanto presenta delle sorprese (in senso positivo); tuttavia dato che dalla storia impariamo poco e che man mano che passano i secoli sarà sempre più difficile tornare indietro per certe cose, anche se avessimo un improvviso rinsavimento generale non è detto che avremo la possibilità di invertire la china.
Siamo usciti indenni dalla guerra fredda (che fredda non lo era tanto), e io che l'ho vissuta (anche se da giovane un po' ingenua) so quanto ci sembrava vicina la possibilità di una catastrofe nucleare; col senno di poi sembra impossibile che per qualche divergenza di opinione o addirittura per qualche errore si sarebbe potuto scatenare un conflitto con missili nucleari che sarebbero volati di qua e di là: però quando vivi dentro un'epoca e un'atmosfera certe cose non le puoi immaginare.
Nella prima metà degli anni ottanta sembrava impossibile che l'URSS sarebbe finita meno di un decennio dopo; io ero convinta che avrei vissuto tutta la vita o quasi osservando da lontano la cortina di ferro. Forse ho avuto sentore prima della gente comune che tutto questo sarebbe finito presto: mio padre era un militare (un militare non militarista, come si è sempre definito, il cui destino è stato condizionato - come per tanti siciliani - dalla necessità), lavorava al settore delle comunicazioni; ricordo un periodo nella seconda metà anni ottanta in cui ci furono delle tensioni tra i due blocchi non mi ricordo per quale avvenimento internazionale: si temeva una qualche forma di intervento sovietico.
Mio padre mi confidò che non sarebbe successo nulla: le navi sovietiche erano quasi bloccate nei loro porti a causa della mancanza di carburante; un bel campanello di allarme per "l'impero del male".
Ho divagato, ma quello che intendevo dire è che non sempre le cose vanno come sembra debbano andare; e certo spesso non ci vanno perché l'essere umano diventa ragionevole, ma perché costretto da contingenze particolari ed improvvise.
L'immagine della morte però mi ha accompagnato nelle mie riflessioni degli ultimi mesi, per ragioni diverse; non ne voglio parlare qui, adesso, in maniera approfondita, però è strano che gli stessi temi li abbia ritrovati in posti diversi. E poi voglio almeno consigliare la lettura (non facile - nel senso di emotivamente impegnativa) di un libro che ho avuto il coraggio di terminare l'altro ieri dopo un lungo centellinamento (nonostante la brevità e la bellezza del libro): "La strada" di Cormac McCarthy.
Riporto una mia specie di commento scritto abbastanza in fretta su aNobii:
"Ho iniziato questo libro qualche mese fa, ne leggevo poche pagine alla volta come se stessi maneggiando qualcosa di prezioso; eppure volendo il libro si potrebbe leggere in poco tempo, la prosa è asciutta e la storia é semplice - e una volta iniziato a leggere si é dentro senza scampo.
Il libro é un impasto miracolosamente riuscito di simbolico e realistico: non sappiamo di che genere è la catastrofe che ha trasformato la Terra in un deserto grigio e quasi disabitato, non sappiamo quanto tempo é passato da quando é successo e non sappiamo quasi nulla dei due protagonisti, un papà e il figlio: non ha importanza.
Il tono della prosa di McCarthy rende questo libro totalmente diverso dai tanti libri (e film) post-catastrofici che abbiamo letto negli ultimi decenni; e in definitiva non é un libro sulle apocalissi prossime venture: é un libro che parla della vita e della morte, di quello che siamo in quanto esseri umani, del bene e del male.
Il bambino non è un semplice bambino, é la nostra coscienza, é il nostro futuro, la nostra speranza di non lasciarci andare al male, alla non-umanità; eppure nonostante quello che rappresenta all'interno del libro non sembra meno reale di qualsiasi altro bambino, e questo grazie all'estrema cura con cui lo scrittore ha saputo caratterizzare i personaggi.
Le parole sono usate con parsimonia ed attenzione, e costruiscono un mondo vivo - per quanto poco di vivo ci sia - cupo e dolente. Ci inoltriamo con i protagonisti in lande grigie e desolate, aggrappati ai pochi segni di umanità che incontriamo, non desistiamo, non lo facciamo anche se non esiste un perché.
Da anni non leggevo un libro così bello, così triste , così denso e semplice al tempo stesso: la semplicità dei grandi temi che tormentano da sempre l'essere umano.
Lo confesso: ho pianto come una bambina alla fine, ho pianto con i protagonisti, ho pianto per quello che sono, per quello che mi attende, per quello che so e che non so."
L'uomo protagonista del libro sta camminando attraverso un mondo morto, non c'è speranza, non per lui o quelli come lui; ma è convinto di non poter privare il bambino di una possibile flebile fiammella di futuro, fosse pure un'illusione.
Mi sembra che ci sarebbe altro da dire su questo libro, ma non me ne sento capace, non ancora.
Non ritengo sia un libro spirituale, non mi sembra (poi ognuno ci può vedere quello che vuole, ovviamente); quello che ci ho trovato di bello è che parla della vita, anche quando il mondo che descrive è un mondo di morte.
Di morte parla anche Roberto Recchioni sul  suo blog, ne ha parlato poco prima che si diffondesse la notizia del suicidio di Tony Scott - coincidenza incredibile. Io con Recchioni non sono d'accordo quasi mai, ma leggendo una prima volta quel post mi sarei detta d'accordo del tutto, d'istinto; poi ho riflettuto su quello che dice un commentatore, che della morte in ogni caso non si può dire nulla, e mi sono detta che in fondo è così che la penso anche io, se voglio essere onesta con me stessa: come scriveva Virginia Woolf "la morte è l'unica esperienza che non descriverò".
Quello che mi spaventa veramente è la vecchiaia, la malattia e il dolore; sto pensando al povero Richard Thompson, l'autore della striscia "Cul de Sac", che è costretto a smettere di disegnare perché affetto da morbo di Parkinson. Ci sono delle ricerche promettenti volte a trovare le cause e di conseguenza la cura per questa malattia che colpisce milioni di persone nel mondo, ma ci vorrà ancora del tempo, non credo che Thompson abbia la speranza di poter tornare a disegnare. Peccato perché è davvero un ottimo disegnatore (e peccato per lui personalmente, la sua vita è stravolta, gli auguro di poter combattere la malattia al meglio) - io poi personalmente non mi sono affezionata ai suoi personaggi, ma capisco chi invece li ama e li ha seguiti fino ad adesso.

E niente, la smetto qui perché mi rendo conto che un post così deprimente non l'ho mai scritto fino ad adesso; e il "viaggio del giorno" è evidentemente "La strada" di sui sopra, se siete in forze leggetelo che ne vale la pena.

6 commenti:

  1. Ho acquistato il libro quando mi hanno parlato molto bene del film. Avrei voluto vederlo ma, come spesso accade, se il film è tratto da un libro, preferisco leggere prima il libro.

    E così mi ritrovo il libro da un paio di anni in libreria che aspetta di essere letto, e il film di essere visto.

    Accadde più o meno la stessa cosa con I Figli degli Uomini di P.D. James. Ma allora non ho resistito e ho visto prima il film. Bello. Consigliatissimo.

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  2. Avevo dimenticato di dire che il film non l'ho visto, non ancora. E non sapevo che ci fosse un libro da cui è stato tratto "I figli degli uomini": è vero, anche a me è piaciuto molto, all'inizio ne diffidavo perchè avevo letto delle recensioni fuorvianti (dovrei decidermi a non leggerle, perchè quasi mai concordo con i recensori - o perlomeno con la maggioranza dei recensori).

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  3. Solo una piccole e futile considerare .... Non sei la sola a sudare in maniera immonda !!! :-)) (così si alleggerisce anche il momento) ;-)))

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  4. Hai ragione, a grondare siamo in tanti...è che fino a pochi anni fa grondavo meno, ero più magra!

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  5. libro bellissimo (Luigi, devi leggerlo), film non male anche se non riesce a cogliere quell'equilibro prosa-poesia di cui parla Patrizia.

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Attraverso i commenti io vengo a sapere solo il nome che è stato indicato dal commentatore, nient’altro. Se qualcuno vuole che io tolga i propri commenti può scrivere a p.mandanici@gmail.com e provvederò alla loro eliminazione.